Per rilanciare l’Appennino non si pensi al turismo, ma a una nuova reindustrializzazione. Lo chiede la Cgil, che questa mattina ha presentato uno studio sul lavoro proprio nelle zone montuose e collinari della Città Metropolitana di Bologna. A fronte della perdita di 600 posti di lavoro nella manifattura con mansioni ben retribuite, infatti, l’occupazione è stata sostituita con lavoro povero, con un rischio ulteriore di ghettizzazione a causa della mancanza di servizi.

La manifattura in Appennino garantiva lavoro di qualità

Secondo lo studio dell’Ires Cgil, intitolato “Manifattura in crisi: il rischio desertificazione nell’Appennino bolognese”, negli ultimi anni si sono persi circa 600 posti di lavoro nella manifattura, in particolare attraverso la sostituzione di occupazione stabile e ben retribuita con lavoro povero e precario. «Stiamo assistendo a un impoverimento strutturale del territorio, accompagnato da un rischio concreto di ghettizzazione dovuto alla mancanza di servizi», ha spiegato il ricercatore Gianluca De Angelis.

La situazione è aggravata da una serie di crisi industriali aperte, tra cui quella di Caffitaly, impegnata in un piano di dismissione di linee produttive e nell’uso della cassa integrazione, che scadrà nel gennaio 2026. È previsto un nuovo incontro entro il mese per discutere il piano industriale, gli investimenti e un possibile rinnovo degli ammortizzatori sociali.
Intanto, la delocalizzazione di parte della produzione Cnh in India ha contribuito a peggiorare ulteriormente il quadro. «È una delle fasi più difficili dal dopoguerra per l’industria dell’Appennino – commenta la Cgil – e da dieci anni i dati sulla nuova occupazione sono fermi a zero».

I dati della Camera di Commercio dicono nel 2024 la manifattura assorbe il 31,4% della manodopera dell’Appennino, una quota in calo costante di anno in anno. Eppure, il peso dell’industria rimane più alto di oltre sette punti percentuali rispetto alla media metropolitana, segno che la crisi colpisce un comparto ancora decisivo per l’economia locale.
La crisi è generalizzata: tutti i comuni appenninici mostrano segnali di sofferenza. Su 79 aziende monitorate da Cgil e Fiom, 48 appartengono al settore industriale e 31 all’artigianato. Tra queste, le imprese con più di dieci addetti stanno affrontando processi di ammortizzazione sociale che coinvolgono 904 lavoratori metalmeccanici, un dato in netto peggioramento rispetto agli anni precedenti.

No al lavoro povero del turismo, sì a una reindustrializzazione 5.0: l’appello della Cgil

La centralità della manifattura non è solo produttiva, ma anche salariale. Nel settore privato, la retribuzione media annua è di 27.600 euro, mentre nella manifattura sale a 37.000 euro. «È per questo che chiediamo di riportare lavoro industriale in Appennino – ha sottolineato il segretario della Cgil di Bologna Michele Bulgarelli – perché è l’unico modo per garantire occupazione di qualità e ben pagata».
In altre parole, per rilanciare l’Appennino e scongiurare il rischio di desertificazione bisogna evitare di puntare sul turismo, che offre occupazione a basso valore aggiunto e bassi salari e diritti.

Un altro elemento critico riguarda la dinamica demografica: dal 2019 la popolazione del distretto è cresciuta dell’1,6%, ma l’aumento è quasi interamente dovuto alla componente non italiana. «È un segnale che mostra come l’Appennino rischi di diventare un’area di residenza obbligata per chi non trova alternative abitative altrove – denuncia la Cgil – Senza sviluppo e servizi, si rischia di creare dei veri e propri ghetti sociali”.

La Cgil lancia infine un appello alle istituzioni: serve una vera “reindustrializzazione 5.0” e un uso mirato delle risorse pubbliche, come quelle previste dalla Legge regionale 14, destinate al sostegno della nuova occupazione.
«Non possiamo continuare a parlare solo di turismo quando il tessuto produttivo si svuota insiste Bulgarelli – Senza un intervento strutturale sull’industria, l’Appennino rischia una desertificazione economica e sociale irreversibile».

ASCOLTA L’INTERVISTA A MICHELE BULGARELLI:

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