Mai come quest’anno si è parlato di overtourism e crisi abitativa, due temi separati ma che sono strettamente collegati, specialmente nelle grandi città dove c’è un’enorme affluenza di turisti, che attraverso gli affitti brevi esasperano il problema abitativo.
Con il proposito di rendere più equo il sistema e aumentare il gettito fiscale, nella legge di bilancio 2026 il governo ha proposto di aumentare la cedolare secca dal 21% al 26% per coloro che mettono in affitto appartamenti per soggiorni brevi e si appoggiano su piattaforme online come AirB&B e Booking.com, mentre gli affittuari “offline” continuerebbero ad avvalersi della tassa del 21%.
L’aumento servirebbe per regolamentare il lato online degli affitti brevi che, grazie all’intermediazione di siti dedicati, è riuscito a crescere a dismisura, spesso superando la capacità albergativa delle singole città e strutture, provocando molti disagi abitativi.
Affitti brevi, le discussioni nella maggioranza e l’inefficacia per risolvere il problema abitativo
Tuttavia, la proposta di legge, approdata di recente al Senato, ha suscitato dissapori politici anche tra la maggioranza, a causa dei diversi interessi da dover conciliare. Fabio D’Alfonso di Pensare Urbano, realtà che da tempo chiede una regolamentazione del settore, pensa che sia positivo il dibattito che si sta sviluppando, ma «non coglie il vero tema e non pone assolutamente una soluzione al problema. Non bisognerebbe concentrarsi sulla cedolare secca, ma sulla proliferazione stessa degli affitti brevi e proporre riforme strutturali per arginarli sul nascere. In altre parole, il fatto che ci sia una tassa che permette di pagare tasse in maniera scorporata dal proprio reddito per chi si appoggia su AirB&B è un problema in sé. Ovviamente stiamo parlando di regime fiscale che può essere applicato su chi ha pochi annunci, mentre chi ha un numero di annunci maggiore viaggia su altri regimi fiscali con la partita iva.».
Un’opinione diffusa tra i detrattori della legge, inoltre, teme che una diminuzione del regime fiscale agevolato si limiti a spostare il problema verso il mercato nero, piuttosto che risolverlo. Anche questo tema, sostiene D’Alfonso, precede e in qualche modo supera la discussione sulla cedolare secca:
«Il mercato degli affitti è stato in nero per dieci anni, nel senso che c’è un grande ammanco di risorse mai versate allo Stato da parte sia dei proprietari, ma anche delle piattaforme online. Ad esempio, dal 2017 Airbnb avrebbe dovuto agire come sostituto d’imposta – quindi trattenendo la quota della ciotola di secca e versandola poi allo Stato, tuttavia ciò non è mai avvenuto, tanto che poi ci sono stati ricorsi sia sul piano italiano che sul piano europeo, persi poi da AirB&B».
Le alternative all’aumento della cedolare secca
Per l’esponente di Pensare Urbano sono altre le strade da prendere: «Una proposta valida sarebbe quella del Comitato di Venezia, che prova a definire una regolamentazione organica e complessiva dando la possibilità ai comuni di decidere i limiti da porre, in base all’impatto che ha il fenomeno sul loro territorio. Altrimenti ci sarebbe anche una legge regionale della Toscana e un’altra legge attualmente in corso d’opera proprio qui in Emilia Romagna, derivate anche da movimenti dal basso, dai riscontri dei cittadini».
«Il governo dovrebbe assumere questo tipo di iniziative invece di pensare a dei palliativi – continua – perché questo aumento della cedolare secca non farebbe molto per cambiare le cose, sempre se poi andrà in porto. Infatti, sulla sua approvazione ho i miei dubbi perché ci sono delle personalità dentro il governo che rappresentano anche l’interesse dei grandi proprietari, e questo è stato e sarà un tema di scontro e di dibattito interno alla maggioranza».
Concludendo, D’Alfonso sostiene che «lo Stato dovrebbe basarsi sul criterio “one home, one host“, secondo la quale gli affitti brevi possono essere permessi solo garantendo il fatto che chi ospita abbia anche una residenza nel posto in cui in cui abita, già applicati stato applicato anche in altre città all’estero. In sostanza una casa uguale un proprietario, scoraggiando i grandi soggetti che hanno e che gestiscono 300, 400 immobili sulla piattaforma: questa sarebbe una vera discussione, altrimenti stiamo parlando di smuovere tutto per non smuovere nulla poi.
ASCOLTA L’INTERVISTA A FABIO D’ALFONSO: