C’è qualcosa di profondamente diretto nel titolo 32 respiri scheggiati. Quella parola, “scheggiati”, evoca fragilità e rottura, ma anche resistenza. Come se ogni respiro fosse una scheggia che si stacca dall’esistere quotidiano, portando con sé un frammento di vita vissuta.
32 respiri scheggiati: un inno alla fragilità quotidiana
C’è qualcosa di profondamente diretto nel titolo 32 respiri scheggiati. Quella parola, “scheggiati”, evoca fragilità e rottura, ma anche resistenza. Come se ogni respiro fosse una scheggia che si stacca dall’esistere quotidiano, portando con sé un frammento di vita vissuta.
Un’anima frammentata, trentasei respiri (sì, non più trentadue, ma di questo parleremo) per raccontare la fragilità dell’esistere. È un viaggio lirico e crudo attraverso i margini della vita, dove ogni respiro è una scheggia di ricordo, dolore o desiderio. Le voci si intrecciano in un mosaico che esplora abbandono, solitudine, relazioni tossiche e speranze. Un’opera intensa che scuote e consola, come un grido sommesso che chiede di essere ascoltato.
Quando i respiri diventano trentasei
“Ogni persona contiene moltitudini e ogni singolo racconto non è altro che una piccola parte, una scheggia appunto, di questa moltitudine. Una singola pennellata in un affresco più grande”. È così che l’autore spiega la genesi del titolo, rivelando subito l’intenzione: non raccontare vite intere, ma istanti. Frammenti che, messi insieme, compongono qualcosa di più grande.
Originariamente i respiri dovevano essere trentadue, un numero che risuonava bene. E invece sono diventati trentasei. Perché? È un piccolo mistero che invita alla lettura, una promessa che il viaggio sarà più ricco del previsto.
Per quanto riguarda l’ordine dei racconti, la scelta è stata la più semplice: quella cronologica. Niente giochi temporali complessi, niente strutture a specchio. Solo il flusso naturale del tempo, perché a volte la semplicità è la forma più onesta di narrazione.
La musica come bussola emotiva
Aprire il libro significa scoprire che ogni racconto è introdotto dal titolo di una canzone. Non è un vezzo stilistico, ma una necessità quasi fisica. “Nella mia vita la musica ha sempre avuto un ruolo estremamente importante e, ogni volta che scrivevo un racconto, sono certo che avessi le cuffiette nelle orecchie”, afferma Serrao d’Aquino.
Il processo creativo segue un percorso particolare: l’autore parte da un avvenimento quotidiano, conosce la storia per sommi capi, sa come inizia e come finisce, ma non sa cosa accade nel mezzo. È una scrittura che si scopre facendo, guidata dal perché le cose succedono, non da come succedono. E in questo spazio di incertezza, la musica diventa la bussola emotiva, lo strumento per identificare il mood da rappresentare.
Le canzoni non sono sottofondo, sono co-autrici invisibili. Aiutano a trovare il tono giusto, a scavare nell’emozione, così come un basso – strumento musicale caro all’autore – capace di smuovere la terra sotto i piedi.
L’elogio dell’uomo qualsiasi
C’è una scelta radicale alla base di questi racconti: quella di voltare le spalle agli eroi. “Il mondo della letteratura, dei film e delle serie TV è pieno di eroi, di persone straordinarie che compiono atti incredibili e gesta memorabili. Io ho voluto, invece, parlare dell’uomo comune”.
I protagonisti di 32 respiri scheggiati non salvano il mondo, non conquistano nulla di eclatante. Sono persone che lottano nella quotidianità per arrivare a fine giornata, che sopravvivono più che vivere. Uomini e donne qualsiasi, sfortunati, fragili, insicuri. E proprio per questo, profondamente riconoscibili.
È un’ode per un’umanità banale, ma l’autore si affretta a precisare: non per questo poco meritevole di essere elogiata per i sacrifici che compie ogni giorno. C’è una dignità nella fragilità, una bellezza nell’imperfezione. E raccontarla diventa un atto di resistenza contro la retorica dell’eccezionale.
I personaggi sono sospesi tra desiderio e perdita, tra fragilità e colpi di ribellione. Non vincono sempre, anzi. Ma continuano a respirare, scheggia dopo scheggia.
Verità false e menzogne vere
Nel racconto La panacea dello scrittore emerge una distinzione sottile ma importante: quella tra “verità false” e “menzogne”. Le prime sono quelle che ci diciamo ogni giorno per giustificare i nostri costanti fallimenti. Sono le scuse che ci permettono di guardare il futuro con maggiore serenità, che ci aiutano a superare l’ostacolo che ci si para davanti.
Le menzogne, invece, sono bugie vere e proprie che “puzzano di via di fuga”. In questo caso l’ostacolo ci blocca completamente, ci impedisce di procedere. È una differenza che dice molto sulla filosofia che attraversa il libro: c’è spazio per l’autoindulgenza, per le piccole bugie che ci tengono in piedi, ma non per la fuga dalla realtà.
È un equilibrio delicato, quello tra accettare le proprie debolezze e arrendersi completamente ad esse.
Il racconto preferito (di oggi)
Quando gli si chiede quale racconto sceglierebbe come porta d’accesso all’intero libro, l’autore esita. “Questa domanda assomiglia a ‘quale disco porteresti con te su un’isola deserta’? Non sono in grado di dare una risposta definitiva”.
Poi però ne indica uno: Non ti credo, che trova sottovalutato visto che viene citato poco tra i preferiti dei lettori. Parla dell’incomunicabilità di coppia, un tema universale eppure sempre doloroso quando lo si incontra davvero.
“Oggi è questo, domani chissà”. È una risposta che dice molto sul rapporto dell’autore con i propri testi: non c’è gerarchia definitiva, ogni racconto respira a seconda del momento, dello stato d’animo, della luce con cui lo si guarda.
Il coraggio dei racconti brevi
C’è una battaglia che l’autore sta combattendo, e lo sa bene: quella per il racconto breve in Italia. “Adoro i racconti, anche se purtroppo in Italia non vengono apprezzati così come all’estero; non hanno grande mercato e quindi le case editrici non li apprezzano molto. Il genere non è molto commerciale”.
È una realtà amara ma onesta. Il mercato editoriale italiano predilige il romanzo, la narrazione lunga, la storia che ti accompagna per centinaia di pagine. Il racconto è considerato minore, un esercizio di stile più che un genere compiuto.
Eppure l’autore ha scelto di percorrere questa strada, ispirandosi a quella storia secondo cui il calabrone non potesse volare perché troppo pesante, ma nonostante ciò riuscisse a volare lo stesso. “Così io ho intenzione di continuare con i racconti. Più strutturati, però, questa volta”.
È una dichiarazione d’intenti, una promessa di continuare a esplorare questa forma nonostante le difficoltà. Perché quando trovi la tua voce, vale la pena insistere.
Un libro che fa del bene
C’è un aspetto del progetto 32 respiri scheggiati che va oltre la letteratura: l’autore ha deciso di donare i proventi delle vendite dirette a 1 Caffè Onlus, realtà torinese attiva su tutto il territorio nazionale.
“Credo sia importante sensibilizzare le persone sul valore della solidarietà quotidiana: fare beneficenza non deve essere un gesto straordinario, ma un’abitudine, un piccolo atto che può fare la differenza”. La scelta è caduta su questa onlus perché l’autore ne conosce i fondatori e apprezza il loro approccio innovativo: una realtà digitale che permette a piccole organizzazioni non profit di tutta Italia di proporre la propria candidatura e, se selezionate, essere sostenute attraverso campagne nazionali di crowdfunding.
Dalla collaborazione sono stati raccolti oltre tremila euro, e si sta lavorando a nuove iniziative per continuare a diffondere la cultura del dono, “un caffè alla volta”. È un modo concreto di dare respiro anche ad altri, oltre che a se stessi.
Il percorso editoriale: una scelta consapevole
Il libro è stato pubblicato attraverso un modello innovativo di editoria partecipata, che ha visto una risposta sorprendente fin dall’inizio. Le prime 200 copie sono state vendute in circa 6 ore dall’avvio della campagna e il libro è uscito cinque mesi in anticipo rispetto al previsto (luglio 2025 invece di dicembre 2025).
“Vedere quanto la gente si sia dimostrata attenta e partecipe sin dall’inizio del progetto” è stato l’aspetto più gratificante, ha dichiarato l’autore.
Per chi fosse interessato ad approfondire questo modello editoriale e le esperienze di altri autori, vale la pena leggere alcuni casi concreti di pubblicazione e testimonianze dirette che raccontano percorsi simili.
L’editing è stato un processo sorprendentemente fluido: circa cinque giri di bozze, forse meno. Trattandosi di racconti brevissimi, non c’era da seguire un impianto narrativo complesso come in un romanzo. Le variazioni richieste riguardavano principalmente l’alleggerimento del testo, e quando l’autore ha voluto insistere con la sua versione, l’editor è stata disponibile al dialogo.
“Hai davanti una casa editrice strutturata” spiega l’autore, facendo un paragone con il self publishing “si occupano di tutta una serie di servizi professionali che altrimenti dovresti procurarti e pagarti in autonomia: editing, impaginazione, copertina, stampa. Da non sottovalutare la distribuzione: chiunque in Italia può andare nella sua libreria di riferimento e acquistare il mio libro. Con il self, questo di certo non accade”.
Schegge che formano un mosaico
32 respiri scheggiati è un libro che non chiede di essere letto tutto d’un fiato. Anzi, forse chiede il contrario: di essere assaporato un respiro alla volta, lasciando che ogni scheggia trovi il suo spazio nella mente del lettore prima di passare alla successiva.
È letteratura che non cerca il clamore dell’eccezionale, ma la verità del quotidiano. Che non promette risposte, ma offre compagnia nella fragilità. Che non ha paura di mostrare le crepe, perché è proprio lì, nelle fessure, che passa la luce.
Se Non ti credo parla dell’incomunicabilità, forse questo libro nel suo insieme parla della possibilità di comunicare comunque. Di respirare, anche quando l’aria sembra mancare. Di continuare a raccontare, scheggia dopo scheggia, l’umanità banale e meravigliosa che siamo.
            
            
            
	






