Si intitola “Sluttification of la mia prozia” l’installazione di Charlie G Fennel che verrà allestita in un bosco a Ca’ dei Pini, sulle colline di Dozza imolese, alle 18.00 di giovedì prossimo, 7 luglio. Iniziato con Vodka&Tena Lady, “Sluttification of la mia prozia” è la seconda tappa di riciclo rivendicativo, di liberazione e gioco con la genealogia di famiglia, una ricerca artistica e collettiva che interseca il tema della salute mentale, il trauma generazionale, la fluidità tra il genere e il sesso attraverso una lente fashion.
L’obiettivo è ridare voce alla fragilità sottesa a queste tematiche e trasformarla in un’arma per creare nuove connessioni e alleanze queer.

Charlie G Fennel presenta “Sluttification of la mia prozia”

«In un mondo in cui la Santa inquisizione è ancora la norma – spiega l’artista – e la propaganda eterosessuale, intesa non solo come orientamento ma come struttura biopolitica della societá, sluttification (letteralmente troiaficazione) vuol dire svestirci dai ruoli di genere, scioglierci dal vincolo matrimoniale e dai legami di sangue, espropriare i vincoli relazionali, e sostituire la scarsità affettiva imposta dal patriarcato ridistribuendo l’abbondanza dell’amore queer».
“Sluttification of la mia prozia”, dunque, è una delle “art practices against the patriarchy”: un manifesto che si unisce a una esposizione collettiva, una dichiarazione d’amore non romantico, una mescolanza di saperi e vite in forma di installazione.

Il lavoro di Charlie G Fenner comincia con il ritorno negli spazi ereditati e con la rielaborazione, grazie ad un vocabolario queer e transfemminista, delle memorie di famiglia impilate in cantina. Qui l’artista ha dato a quel materiale nuova linfa e, mutandone la storia, vendicandosi con una nuova genealogia.
In particolare il lavoro si è concentrato sulla volontà di risoluzione per la prozia Liliana, con una necessità di dare risposte a domande che sono rimaste nella torbida aria di un’Italia borghese degli anni 40, dove ogni comportamento non procreativo era considerato una minaccia.

Liliana, artista e pianista di professione, prozia materna, venne privata dal patriarcato del piacere di definirsi single, slegata, instabile ed invece etichettata come zitella e malata di mente, come molte altre donne dalle “emozioni ingestibili” e con «diffusione dell’identità, uso massiccio di meccanismi di difesa primitivi e vari gradi di deterioramento del Super-Io» (Otto Kemberg; uomo cishet).
Tolto l’Eros, l’energia vitale legata al riconoscimento di sé stessa, la società le lasciò come unica forma di pietà gli psicofarmaci, annichilimento, Thanatos. Dopo vari tentativi di autodeterminazione fallimentari attraverso il suicidio, terminò la vita in ospizio.

Nello stesso bosco che sette anni fa aveva accolto “Art in the woods”, oggi, un sabba di streghe rievoca la prozia, immortalandosi negli abiti degli ultimi anni della sua vita: non i tailleur alla Chanel della gioventù, ma le camicie da notte numerate, i pigiami e le vestaglie. Queste, stampate da La Bile Lab con il marchio del manifesto Art Practices Against the Patriarky, prendono nuova forma sui corpi di compagnx queer e libere, dando al fantasma della prozia la voce, l’autodeterminazione e il riposo che il patriarcato non le ha mai concesso.

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