Innanzitutto il linguaggio. Tutti parlano di pandemia, ma il termine più corretto è senza dubbio “sindemia” cioè, dalla Treccani, “l’insieme di problemi di salute, ambientali, sociali ed economici prodotti dall’interazione sinergica di due o più malattie trasmissibili e non trasmissibili, caratterizzata da pesanti ripercussioni, in particolare sulle fasce di popolazione svantaggiata”.
È da questo presupposto che nella giornata di ieri si è svolto il convegno online “#Sindemia0202 – Convegno sulla salute”. Tante realtà di ogni angolo d’Italia si sono date appuntamento per una discussione democratica e dal basso che sembra avere le idee molto più chiare e proporre soluzioni molto più efficaci di quelle elaborate e presentate fino ad ora dalle task force governative.

Dal basso e collettivo: il convegno sulla salute

Si è trattato di un convegno vero e proprio quello svoltosi ieri per affrontare la sindemia. Una trentina di relatori, tra professionisti delle diverse materie e realtà sociali hanno animato le tre sessioni dell’incontro.
La prima, intitolata “Per una nuova sanità”, ha preso in esame i problemi resi evidenti dal Covid-19, ma preesistenti ad esso, ed ha dettagliato come, invece, dovrebbe essere la sanità, cioè pubblica, territoriale e al servizio delle persone, non soggetta a logiche di mercato.
La seconda sessione, “Per un nuovo concetto di salute”, ha sottolineato i limiti dell’approccio occidentale al tema ed ha individuato in un approccio più olistico, che tenga conto del benessere generale della persona, quindi anche nella componente psicologica ed economica, la via da seguire.

La terza sessione si è concentrata sul problema che è finito prepotentemente sotto i riflettori in queste settimane, ovvero la questione dei vaccini. Anche in questo caso, il titolo della discussione non lasciava dubbi: “Per un Vaccino bene comune”.
Le difficoltà che l’Europa sta affrontando nelle forniture vaccinali, ma anche la totale scopertura di zone del mondo e continenti, come nel caso dell’Africa, hanno messo in risalto come l’approccio liberista, basato sulla proprietà intellettuale e sul profitto delle multinazionali del farmaco, rappresenti un grosso ostacolo per l’uscita dalla pandemia stessa e, più in generale, privatizzi e renda soggetto alle logiche di mercato anche un bene prezioso come la salute.

Sanità, la necessità di un altro modello

Durante il convegno è stata praticamente unanime la diagnosi dei problemi della sanità che sono esplosi durante la pandemia. In particolare, il dito è puntato contro il disinvestimento e lo smantellamento della sanità pubblica e la progressiva privatizzazione ed esternalizzazione del servizio. Ed è qui che torna centrale il lessico: dal “servizio” sanitario il passaggio è stato a “sistema” sanitario, che sottende l’entrata in campo del privato, la cui mission è, per natura, il profitto, non il benessere delle persone.

Il paradosso odierno è che oggi il 75% delle risorse pubbliche per la sanità finiscono direttamente o indirettamente in mano privata, come ha sottolineato Giuseppe Graziano del Centro Studi per la Salute del Futuro.
“Servizio”, “pubblico” e “nazionale” sono dunque parole di cui i cittadini e le cittadine si devono riappropriare nella battaglia per la salute, ha sottolineato Elisabetta Papini, vicepresidente del Forum per il Diritto alla Salute.

ASCOLTA LE PAROLE DI ELISABETTA PAPINI:

Quella per la sanità pubblica e universale è una battaglia che viene condotta anche da lavoratrici e lavoratori del settore.
«Dopo un anno di pandemia la letteratura scientifica ci dice che il 40% del personale sanitario è in burnout e, nel restante 60%, un ulteriore 40% è in burnout senza saperlo», ha riportato Roberto Micheli, medico di Spedali Civili di Brescia ed esponente del collettivo “Siamo tutti Ippocrate”.
E a chi sostiene che non c’è carenza di personale, ma che semplicemente è mal distribuito Micheli ricorda che negli ultimi cinque anni sono stati chiusi 74 ospedali e che 22mila unità lavorative non sono state sostituite. E l’imbuto formativo col numero chiuso a Medicina non ha certo aiutato.

ASCOLTA LE PAROLE DI ROBERTO MICHELI:

Quali le soluzioni al problema, allora? Anche in questo caso, le ricette dei partecipanti al convegno convergono in molti punti. Anzitutto occorre tornare a puntare sulla prevenzione invece che sulla cura. Per farlo, occorre rivedere un modello “ospedalocentrico”, ma puntare seriamente sulla medicina territoriale, che attualmente potrebbe assolvere al 75% dei bisogni sanitari e assistenziali. Un modello possibile, affinché opportunamente finanziato, è quello delle “Case della salute”.

Le risorse economiche e di personale sono poi due nodi centrali. I 15 miliardi che arriveranno dal Recovery Fund sono ampiamente insufficienti. Il Forum per il Diritto alla Salute stima in 40 i miliardi di euro di finanziamento a cui si dovrebbe arrivare. Così come l’assunzione di personale dovrebbe portare ad un raddoppio degli attuali organici.
Un altro punto importante è il superamento del controllo regionale della sanità, che ha mostrato tutti i suoi limiti e le sue disomogeneità, verso un ritorno ad una sanità universale e almeno nazionale.
Non irrilevante, infine, è la creazione di una fabbrica nazionale o europea pubblica del farmaco, che ci metterebbe al riparo dalle speculazioni delle multinazionali cui stiamo assistendo con le forniture di vaccini.

Salute, una ridefinizione radicale del concetto

Come la definizione stessa di sindemia evidenzia, la situazione che il pianeta sta vivendo rende necessario rimettere in discussione il concetto stesso di salute. In particolare, quest’ultima non può più essere intesa semplicemente come assenza di malattie, ma concerne un approccio olistico che riguardi gli esseri umani e l’ambiente in cui vivono, ma anche le condizioni sociali ed economiche in cui conducono la propria esistenza.
Su questi aspetti si è concentrata la seconda sessione del convegno, che approcciato l’oggetto principalmente attraverso due temi: l’ambiente e la cura.

L’ambiente ha molto a che fare con il Covid-19 poiché, anche se non è ancora stato completamente chiarito dove e come sia stato effettuato il salto di specie che ha portato alla diffusione globale del virus, appare evidente che la responsabilità è imputabile all’azione antropica, in particolare all’estrattivismo predatorio della società capitalista. A sottolinearlo, nel corso del convegno, è stata Anna Clara Basilicò di Rise Up 4 Climate Justice, che ha evidenziato anche l’impatto maggiore del Covid nelle aree maggiormente inquinate, dove le persone sono più esposte anche ad una delle cause della crisi climatica.
Un concetto nuovo di salute e di benessere, dunque, non può trascendere anche dalla messa in discussione dell’ecosistema capitalistico in cui viviamo. Una direzione che le campagne vaccinali anti-Covid di per sé non intraprendono, poiché agiscono a posteriori e non sull’eliminazione delle cause e dei fattori che compromettono la salute.

ASCOLTA LE PAROLE DI ANNA CLARA BASILICÒ:

Un altro aspetto connesso al concetto di salute è quello della cura. Lo smantellamento del welfare operato nei decenni scorsi ha manifestato in modo ancora più pesante le sue conseguenze durante la pandemia e, come certificano ormai tutte le statistiche, il peso maggiore è ricaduto ancora una volta sulle spalle delle donne.
Proprio durante la pandemia, in Italia è arrivata la traduzione di “Manifesto della cura”, un libro collettivo di accademiche e accademici inglesi – The Care Collective – che, partendo dalla crisi della cura che stiamo sperimentando, immagina soluzioni diverse.
A curare la post-fazione italiana è stata la giornalista Jennifer Guerra, che ha evidenziato la necessità di rivoluzionare completamente il lavoro di cura e arrivare ad una sua socializzazione.

ASCOLTA LE PAROLE DI JENNIFER GUERRA:

Durante il convegno c’è stato anche lo spazio per sottolineare i problemi connessi alla crisi sociale scaturita dalla pandemia, come quello della casa ma anche quello dell’approvvigionamento di cibo, e raccontare le molte iniziative di mutualismo dal basso che sono state organizzate in giro per l’Italia. Esperienze che spesso si sono rivelate più efficienti, se non addirittura sostitutive dello Stato nel fornire supporto ed aiuto a famiglie e persone piombate in situazione di indigenza e fragilità sociale.