«Da mesi viviamo nell’incertezza, senza risposte sui nostri documenti. Siamo state escluse dalla società afghana solo perché donne, non abbiamo identità politica né sociale. Per i talebani essere donna è una vergogna. Ora mi si chiede un certificato penale da loro, ma senza uno Stato riconosciuto come possiamo ottenere documenti ufficiali?». È la surreale vicenda che racconta Mah Chehrah questa mattina davanti a Bologna e che riguarda una trentina di donne afghane residenti tra il capoluogo emiliano-romagnolo e Modena, e «solo qui, non nelle altre città».
In presidio davanti alla Prefettura di Bologna, le donne afghane denunciano un vero e proprio «cortocircuito istituzionale», per colpa del quale non riescono a ottenere i documenti necessari per ottenere la cittadinanza.

Un certificato dai talebani per ottenere la cittadinanza: l’assurdità che vivono le donne afghane a Bologna e Modena

Arrivate in Italia con il ricongiungimento familiare tramite i loro mariti, che sono già cittadini italiani, e la richiedono dopo i due anni di residenza previsti dalla legge per le persone apolidi. Ma una falla nella procedura blocca tutto. Infatti, non riescono a ottenerli perchè gli uffici della Prefettura chiedono un «certificato penale fatto dai talebani e legalizzato dall’Ambasciata», due operazioni che «semplicemente non sono possibili». Lo sottolinea Jan Nawazi, che vive a Bologna da 18 anni, titolare del ristorante Kabulagna, noto in città come esempio di integrazione, e che fa parte dell’associazione Cheragh, nata un anno e mezzo fa e che promuove iniziative per le donne già discriminate nel loro paese d’origine. Come quella di oggi.

Nawazi parla esplicitamente di «gioco contro le donne afghane, che vengono discriminate e obbligate a tornare in Afghanistan sotto la tortura dei talebani, rischiando la vita a fare questo passaggio». E anche se ci riuscissero, «chiedono una legalizzazione all’Ambasciata italiana che viene negata, perchè dicono che il governo italiano non riconosce i talebani come rappresentanza e non possono legalizzare nessun tipo di documento rilasciato da loro».
Insomma, un giro rischioso e inutile per cui alla fine i documenti comunque non arrivano, mentre, ricorda l’attivista afghano, «fino a un anno fa andava bene anche il famoso atto notorio, che presentano i rifugiati politici e apolidi senza rappresentanza. In teoria dovrebbe andare bene anche a loro. Ma questa è una cosa che riguarda solo Bologna e Modena, in altre città non è così. Non sappiamo perchè. Vogliamo chiedere un chiarimento alla Prefettura per questo motivo».

Un chiarimento che richiedono circa 30 donne, di cui una quindicina solo a Bologna. Numeri destinati ad aumentare, perchè «noi afghani siamo residenti a Bologna da quasi 20 anni e la maggior parte di noi diventa cittadino italiano, solo nell’ultimo anno abbiamo 5 nuovi cittadini». Intanto, però, lo stallo continua.
«Sono una donna afghana che viene da un paese che non ha conosciuto altro che dolore e sofferenza e lotta – dice ancora Mah Chehrah – noi donne rifugiate siamo forse tra le più fortunate, siamo riuscite a fuggire. Desidero esercitare il mio diritto di diventare cittadina di un paese che conosce il valore e la dignità delle donne, ma dopo il crollo del governo afghano ci siamo trovate smarrite come persone che esistono ma non appartengono a nessun luogo di questa terra».

Presente al presidio in Prefettura a Bologna, questa mattina, anche il capogruppo comunale di Coalizione civica Detjon Begaj. «Il fatto che i talebani hanno preso il potere in Afghanistan e le persone fuggono da quel paese e cercano rifugio qui a Bologna non può essere qualcosa che può essere pagato da queste donne – sottolinea Begaj – Hanno il diritto di essere protette, di ottenere la cittadinanza, di scegliere di vivere qui e avere delle risposte adeguate da parte del ministero e della prefettura. Non possiamo far altro che chiedere alla prefettura di dare delle risposte e ci attendiamo che questo avvenga e che questa situazione venga risolta una volta per tutte».

A questo proposito, il consigliere rilancia il tema della cittadinanza, che sarà una delle voci del referendum del prossimo 8-9 giugno. «Siamo in tante e tanti impegnati nella campagna referendaria, il tema della cittadinanza chiaramente ha molte sfaccettature. È una questione che apre tante contraddizioni e quando succedono cose come questa apre ancora di più le problematiche. Però, a pagarne il prezzo sono sempre poi le persone più fragili».

ASCOLTA L’INTERVISTA A JAN NAWAZI:

Fonte: Agenzia Dire