Una cella al centro della città per far capire cosa significa vivere privati della libertà. È l’idea alla base dell’installazione “La vita dietro le sbarre: una cella al centro della città”, inaugurata sabato 18 ottobre in Piazza Maggiore a Bologna e visitabile anche oggi.
L’iniziativa, promossa dalla Camera Penale di Bologna “Franco Bricola” insieme all’Osservatorio Carceri e con la collaborazione di Extrema Ratio e del Lions Club Borgo Panigale Emilia Ponente, ricostruisce fedelmente una cella della Casa Circondariale della Dozza: stessi spazi, stessi arredi, stesso senso di costrizione. L’iniziativa è sostenuta dal Comune di Bologna e dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati.
L’iniziativa “La vita dietro le sbarre”
Sabato 18 è intervenuto all’inaugurazione l’attore Alessandro Bergonzoni. Anche in questa occasione l’attore ha contribuito a denunciare il problema attraverso la sua creatività: ha sottolineato la necessità di colmare la distanza emotiva tra il cittadino e la realtà carceraria attraverso l’espressione “Viaggio Nello Spazio in presenza di gravità”. Per Bergonzoni bisogna «accorciare questo spazio» per far comprendere che condizioni basilari come igiene e assistenza sono «un diritto, non un favore» per i detenuti. Concretamente, a questo scopo, Bergonzoni ha annunciato che quasi tutte le direttrici e i direttori dei teatri di Bologna (ERT, Arena del Sole, Duse, Celebrazioni, EuropAuditorium, Oratorio San Filippo Neri), presenti in piazza, hanno aderito alla proposta di riservare posti ai detenuti per tutta la stagione, offrendo appunto un «altro luogo, un altro spazio» dove parlare di arte, musica e teatro.
Nella giornata di domenica 19 interverrà il cardinale Matteo Maria Zuppi.
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«Toccare con mano cosa si prova a vivere dentro una cella»
«Siamo felici di essere riusciti a portare questa installazione in piazza», ha spiegato il responsabile dell’Osservatorio Diritti umani, carcere ed altri luoghi di privazione della libertà della Camera Penale “Franco Bricola” di Bologna, avvocato Luca Sebastiani. «Abbiamo ricostruito una cella identica a quelle del carcere di Bologna. È un’occasione importante per toccare con mano quello che si prova a viverci dentro. Le misure sono esattamente le stesse, il mobilio è esattamente lo stesso. La cella è pensata per 2 persone ma nelle situazioni peggiori in queste celle ci vivono anche più di tre, quattro persone».
Sebastiani ricorda come la capienza regolamentare della Dozza sia di 457 persone, ma i detenuti siano oggi quasi 800, con un aumento di 100 unità solo a luglio. «Di questi 800 — ha sottolineato — un quarto è in attesa di giudizio, e solo il 20 % lavora. Quello del lavoro in carcere è un tema enorme: i dati dimostrano che il lavoro abbatte la recidiva”.
Conclude Sebastiani: «Il nostro obiettivo è quello di sensibilizzare sulle drammatiche condizioni che ci sono in carcere. Come diceva Voltaire, il tasso di civiltà si misura proprio su come uno stato fa stare i detenuti, sulle condizioni carcerarie. Diciamo che su questo abbiamo molto da fare, e noi siamo qui proprio per questo».
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«Siamo tornati alla pena corporale»
A ribadire il senso profondo dell’iniziativa è stato anche Nicola Mazzacuva, Presidente della Camera Penale di Bologna: «Da anni denunciamo l’emergenza carceraria. Nel 2013 l’Italia è stata condannata per il sovraffollamento carcerario dalla CEDU, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Qualcosa migliorò subito dopo, ma oggi la situazione è di nuovo gravemente critica».
Lo dimostra il numero dei suicidi in carcere: se ne sono registrati 90 nelle carceri italiane nel 2024 e 67 nel 2025. «Il tasso di suicidi tra i detenuti è del 25 % superiore rispetto a quello della società esterna. È la prova che i principi costituzionali di umanità della pena e della funzione rieducativa della stessa vengono traditi». E aggiunge: «Nel 2025 non possiamo tollerare questa realtà. Siamo tornati alla pena corporale che l’Illuminismo aveva abolito».
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I numeri dell’emergenza
I dati più recenti confermano una situazione di grave e crescente sovraffollamento a livello nazionale. Al 14 ottobre 2025 il totale dei detenuti in Italia era di 63.294 persone; i posti regolamentari ammontano a 51.225 e quelli effettivamente disponibili sono 46.612.
Il tasso di affollamento reale (calcolato sui posti disponibili) è del 135,79%.
La regione Emilia-Romagna presenta un elevato livello di affollamento. Al 31 dicembre 2024, nelle carceri dell’Emilia-Romagna erano presenti 3.820 detenuti su una capienza di 2.988 posti, con 832 persone in più rispetto alla capienza. Al 31 maggio 2025, in Emilia-Romagna si registravano 1.947 detenuti in totale, di cui 287 in attesa di primo giudizio.
A febbraio 2025, il carcere della Dozza a Bologna ospitava 852 detenuti su una capienza di 500 posti. Il 39,4% dei detenuti in Emilia-Romagna ha una diagnosi cronica, spesso legata a disturbi psichici e comportamentali.
«Un diritto penale minimo»
«Collaborare con la Camera Penale al progetto di portare in Piazza Maggiore una cella ci permette di rimettere al centro dell’attenzione il carcere, ma al contempo di farlo offrendo una prospettiva molto diversa da quella che tendenzialmente ritroviamo sia nel dibattito mediatico che nel dibattito politico, dove il diritto penale in generale e il carcere più in particolare vengono presentati come soluzione a qualunque problema di natura sociale, quando invece per noi, così infatti ci chiamiamo, dovrebbero essere l’estrema ratio» spiega Francesco D’Errico, fondatore e presidente dell’associazione culturale Extrema Ratio, nata nel 2018 con l’obiettivo di promuovere e divulgare la cultura del diritto penale liberale e costituzionale, quindi di promuovere un’idea di diritto penale minimo.
Cosa significa diritto penale minimo? «Secondo noi il diritto penale è un male necessario, ma se si va oltre la necessità, resta soltanto il male. È lo strumento più forte di cui lo Stato dispone, perché è privativo del bene più grande che abbiamo dopo quello della vita, ovvero la libertà personale. Quindi va utilizzato in maniera proporzionale e possibilmente entro i limiti indicati dalla Costituzione, nel rispetto del principio di umanità e nel rispetto del principio di rieducazione della pena; principi assolutamente disattesi». Per i più cinici, il ragionamento dell’associazione è suffragato dai numeri. «Se l’idea di rispettare il principio di umanità non ci interessa, dico provocatoriamente, allora almeno che ci interessi l’aspetto utilitaristico della vicenda, cioè il fatto che i dati dimostrano che effettivamente il carcere non produce affatto più sicurezza. Ne cito due al volo: chi esegue la pena integralmente in carcere torna a delinquere nel 70% dei casi, chi invece accede alle misure alternative torna a delinquere nel 17% dei casi, quindi c’è una differenza importante; infine chi durante l’espiazione della pena ha accesso a percorsi di tipo formativo e lavorativo torna a delinquere solo nel 5% dei casi. Ecco perché noi sosteniamo che bisognerebbe ribaltare il concetto: più misure alternative e meno carcere; rendere le misure alternative non un’alternativa alla detenzione, ma la misura principale».
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