È stato un tema fortemente divisivo, con veri e propri scambi di insulti sui social e campagne mediatiche furibonde. Al di là di come la si pensi, però, il Green Pass rimane uno strumento che solleva dubbi e perplessità dal punto di vista giuridico, come testimoniano già diverse pronunce di tribunali. La questione, però, non è ancora risolta a si attendono importanti decisioni di Consiglio di Stato e Corte costituzionale.
Anche se lo strumento, a partire dal primo maggio, cesserà di essere utilizzato, è la questione giuridica, quella dello stato di diritto, che richiede un chiarimento.

Tra le varie limitazioni collegate all’assenza di Green Pass, però, ve ne sono alcune che hanno riguardato diritti fondamentali e costituzionalmente sanciti, come il diritto al lavoro. La norma che ha introdotto il Green Pass base prima, ma soprattutto quello rafforzato, ha imposto una sospensione dal lavoro, ma soprattutto una sospensione della retribuzione che potenzialmente rappresenta un problema sociale. Nonostante la percentuale di vaccinati in Italia sia molto alta, esistono migliaia di persone che per un periodo prolungato sono rimaste senza stipendio, peggiorando quindi le proprie condizioni economiche.

Green Pass, l’esposto di giuristi che lo ritengono uno strumento improprio

Lo scorso febbraio decine di giuristi di tutta Italia hanno presentato un esposto sul Green Pass, evidenziandone i punti a loro avviso discriminatori. Tra i promotori troviamo Luciana Grieco, avvocata del Foro di Bologna, che ai nostri microfoni illustra i principali punti problematici evidenziati nell’esposto.
«Anzitutto il Green Pass ha rappresentato una discriminazione tra italiani e non italiani – osserva Grieco – Gli italiani non vaccinati o con Green Pass scaduto non potevano accedere a luoghi come hotel, ristoranti o cinema, mentre per gli stranieri potevano accedervi grazie ad un semplice tampone negativo».

Un’ulteriore discriminazione venne ravvisata sulla durata del Green Pass. La validità del lasciapassare per chi aveva completato il primo ciclo vaccinale era di sei mesi, mentre con la terza dose era illimitata. «Le evidenze mediche – sottolinea l’avvocata – ci dicono che gli anticorpi iniziano a calare da poche settimane dopo la vaccinazione, qualunque sia la dose».
Ma è sul fronte dei diritti della persona, come il diritto al lavoro, che il Green Pass ha prodotto più danni, sempre secondo i promotori dell’esposto. In particolare è venuta meno una regola del diritto che riguarda la proporzionalità di una misura rispetto alle limitazioni che impone, quindi un bilanciamento tra diritti fondamentali che in un determinato momento possono divergere.

L’avvocata cita l’articolo 52 della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea, che recita: «Eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla presente Carta devono essere previste dalla legge e rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e libertà. Nel rispetto del principio di proporzionalità, possono essere apportate limitazioni solo laddove siano necessarie e
rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui
».
Secondo la giurista, a monte dell’introduzione di uno strumento come il Green Pass andava fatta una valutazione d’impatto, uno strumento tecnico previsto giuridicamente, che probabilmente è mancata.

Alla base della norma che ha introdotto il Green Pass c’erano considerazioni di tipo sanitario e preventivo che nei fatti non si sono realizzate, dal momento che la vaccinazione non ha messo al riparo dalla trasmissione del Covid e anche i vaccinati potevano essere contagiosi.
In altre parole, il Green Pass è stato uno strumento improprio dal punto di vista giuridico, un escamotage per spingere la popolazione a vaccinarsi pur in assenza di un’imposizione, mentre lo Stato avrebbe dovuto procedere in maniera corretta con l’introduzione dell’obbligo vaccinale, come effettivamente è stato fatto solo in un secondo momento e solo per gli over 50 e per alcune categorie di lavoratori.

Retribuzione sospesa, un problema sociale su cui arrivano le prime pronunce

La norma che ha introdotto il Green Pass si è dimostrata anche in contraddizione con l’articolo 500 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, che contempla un “assegno alimentare” per coloro che sono sospesi dal lavoro, anche per gravi motivi disciplinari.
Per chi non si è vaccinato, invece, la sospensione dal lavoro ha comportato anche la sospensione dalla retribuzione, compromettendo il sostentamento stesso di molte persone.
Così, ad esempio, sembra interpretare la questione il Tribunale di Brescia, che recentemente si è pronunciato sull’appello di alcuni docenti che in particolare contestavano il Green Pass rafforzato.

Nello specifico, il ricorso presentato dai docenti si concentrava su due punti: la discriminazione per non poter lavorare presentandosi con un tampone negativo (Green Pass base) e la mancata corresponsione di un assegno alimentare per i bisogni essenziali dei lavoratori sospesi. «Il giudice ha ritenuto che ci fosse una non manifestamente infondata questione di legittimità costituzionale – spiega Grieco – proprio perché la norma prevede trattamenti diversi a fronte di lavoratori che si trovano in condizione di non percepire la retribuzione. Nel prendere decisioni occorre sempre fare una valutazione e ci deve essere proporzionalità tra la norma che viene adottata e le sue conseguenze e i diritti che vengono limitati. La dignità della persona può venire meno quando perde ogni forma di sostentamento».

Green Pass, cosa dicono le pronunce dei tribunali fino a questo momento

Sono diversi i tribunali che, affrontando ricorsi di diversi lavoratori sospesi senza retribuzione, hanno iniziato a pronunciarsi in merito al Green Pass e alle conseguenze prodotte. Una panoramica delle pronunce ci viene fatta sempre dell’avvocata Grieco.
Innanzitutto occorre distinguere dalle pronunce avvenute nel 2021 rispetto a quelle più recenti, perché il Green Pass base ha avuto effetti diversi da quello rafforzato.
Se il base consentiva comunque alle persone di lavorare previo test con tampone negativo, il Green Pass rafforzato di fatto impone la vaccinazione.
È per questa ragione che, nel 2021, il Tar del Lazio ha reputato legittime le sospensioni: il lavoratore aveva possibilità di scegliere se vaccinarsi o se effettuare un tampone, quindi non sussisteva la discriminazione.

Diversa, invece, la situazione emersa col Green Pass rafforzato. «Le pronunce sono arrivate soprattutto dal Tar del Lazio e del Veneto – riporta Grieco – In particolare nel febbraio scorso il Tar del Veneto ha accolto il ricorso di alcuni lavoratori ritenendo un grave danno quello prodotto dalla sospensione dal lavoro. Nell’esigenza di tutelare la salute, però, il giudice ha disposto solo la reintroduzione della retribuzione, per cui ci sono lavoratori che restano sospesi ma percepiscono il salario».
Anche il Tar del Lazio inizialmente si è mosso in questo modo, ma nelle ultimissime pronunce ha invece ribaltato il giudizio, rigettando i ricorsi di 127 persone e ritenendo legittima la sospensione.

«È normale che in primo grado ci sia un contrasto – osserva l’avvocata – ma speriamo che venga risolto e in maniera favorevole per i lavoratori dal Consiglio di Stato».
Sono infatti attese alcune pronunce di tribunali o organi giuridici superiori, come appunto il Consiglio di Stato, ma anche la Corte costituzionale interpellata dal Tribunale di Brescia.
In seguito a quelle pronunce, quindi, si avrà un quadro più chiaro sulla legittimità o sull’inappropriatezza che il Green Pass ha rappresentato.

ASCOLTA L’INTERVISTA A LUCIANA GRIECO: