Oggi è il turno di chi porta farmaci e attrezzature mediche, prima era toccato a chi portava cibo. Prosegue, impunito e senza tregua, l’attacco dell’esercito israeliano contro le varie flottiglie che cercano di aprire un varco umanitario nell’accerchiamento che stringe la Striscia di Gaza. Ma continuano ad aumentare anche le persone che scelgono di salire su una barca, mettere il proprio corpo dentro questa storia e farsi voce di chi non ne ha più.
Di fronte a un’Europa immobile, che balbetta soluzioni incomprensibili e si chiude in un imbarazzo sempre più evidente, c’è chi continua ostinatamente a cercare di spezzare tutta quell’apatia colpevole. Tra loro Yassine Lafram, presidente dell’UCOII (Unione delle Comunità Islamiche d’Italia), rientrato nei giorni scorsi dalla Global Sumud Flotilla, la missione internazionale di pace che ha tentato di raggiungere la Striscia di Gaza per portare cibo e rompere simbolicamente l’assedio, riportando l’attenzione del mondo sul destino del popolo palestinese.
Nell’intervista che segue, Yassine racconta cosa ha significato “mettere il proprio corpo” dentro una storia che molti preferiscono ignorare, e come la Flotilla abbia, a suo modo, “stravinto”, scuotendo le coscienze e rompendo l’indifferenza. Portando per le strade e per le piazze d’Italia, d’Europa e del mondo milioni di persone: noi, la Flotilla di terra. Si parla di paura e di coraggio, di un’Europa immobile e dei suoi leader aggrovigliati nei loro inutili bla bla bla. Ma anche di speranza: di come si possa continuare a credere nell’azione collettiva, nell’attivismo non violento, nella responsabilità di ciascuno di noi nel mantenere viva l’attenzione e la solidarietà verso la Palestina. Parole intense e autentiche, che ci riportano al cuore di ciò che la politica e i media spesso dimenticano: l’umanità.
Restare umani, oggi, è la più radicale delle disobbedienze.
Nel link qui sotto, l’intervista a Yassine Lafram