Oltre al possibile sequestro di persona, su cui indaga la Procura di Agrigento, il trattenimento dei migranti a bordo della nave Diciotti, deciso dal ministro Salvini, presenta numerose altre infrazioni del diritto, sia interno che internazionale. L’intervista a Cesare Pitea dell’Associazione Studi Giuridici Immigrazione.

Il Salvini Furioso minaccia tutti e sbraita, ma la vicenda della nave Diciotti della Guardia Costiera e le scelte politiche fatte dal titolare del Viminale, questa volta, rischiano di metterlo nei guai giudiziari.
Se prova a tradire tranquillità, affermando di essere pronto ad essere processato e di avere le spalle larghe, in realtà Salvini sa di aver la copertura dell’immunità parlamentare e sa che un eventuale intervento del Tribunale dei Ministri richiederebbe comunque l’autorizzazione a procedere del Parlamento.

L’ipotesi della via giudiziaria per fermare lo scempio che il ministro degli Interni sta compiendo con la sua politica di chiusura dei porti è balenato ieri, quando la Procura di Agrigento ha aperto un fascicolo con l’ipotesi di reato di sequestro di persona. Il procuratore, che ha effettuato un’ispezione sulla nave bloccata da giorni nel porto di Catania, ha precisato che l’apertura del fascicolo era un atto tecnico necessario per poter compiere la visita stessa e non a caso il fascicolo è stato aperto contro ignoti.
Su quest’ultimo punto è intervenuto lo stesso Salvini, che nel suo discorso propagandistico in diretta Facebook, ha sfidato la magistratura ad inquisirlo.

Ma nella vicenda della Diciotti (che ricordiamo è una nave di Stato e non di una ong) quali e quante sono le leggi che sono state infrante? Lo abbiamo chiesto a Cesare Pitea, docente di Diritto Internazionale presso l’Università di Parma ed esponente dell’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione (Asgi).
“È sicuramente una situazione che si pone al di fuori del diritto – commenta Pitea – Non vi sono provvedimenti che giustifichino questo trattenimento di persone contro la loro volontà, quindi è una privazione della libertà. Non è quindi difficile immaginare che si possa configurare il reato di sequestro di persona, qualora ne ricorrano anche i presupposti soggettivi”.

La situazione, inoltre, viola tutti gli standard internazionali in materia di diritti umani, spiega ancora il docente: “Ogni privazione della libertà deve avere la sua base in una norma di legge e deve prevedere la possibilità per chi è privato della libertà di rivolgersi a un giudice per verificare se questa privazione è conforme alla legge, cosa che in questo caso non avviene”.
Lo stesso discorso si applica alla Costituzione italiana, in particolare all’articolo 13, che aggiunge che oltre le 48 ore la persona deve essere portata davanti a un giudice che abbia la competenza di verificare la legalità della detenzione ed eventualmente ordinare la liberazione della persona.
“Questo – sottolinea Pitea – è uno dei primissimi diritti fondamentali che la nostra tradizione giuridica ha riconosciuto agli individui”.

La via giuridica per garantire il rispetto dei diritti e delle tutele dei migranti trattenuti a bordo della Diciotti, tuttavia, è ostacolata dalla situazione particolare che si è prodotta negli ultimi anni in materia di immigrazione.
Per far valere i propri diritti contro le scelte del Viminale, infatti, le vittime dovrebbero confidare la procura ad un avvocato, che dovrebbe essere presente di persona, mentre sulla Diciotti e su altre navi non viene fatto salire nessuno.

Non c’è dunque nessuna possibilità giuridica per sbloccare la situazione? “Ci sono anche delle altre vie – spiega Pitea – La Procura, ad esempio, potrebbe disporre il sequestro della nave e far scendere le persone a bordo, qualora ne ravvisasse gli estremi. Però questa è un’attività che viene svolta d’ufficio dalle autorità. Qualche possibilità in più ci potrebbe essere per un ricorso davanti alla Corte europea per i Diritti dell’Uomo, dove le formalità sono meno stringenti rispetto al diritto italiano, ma anche in questo caso ci sono difficoltà dovute alla difficoltà di contattare le persone”.

La via migliore, dunque, dovrebbe essere quella politica e civile. “In una situazione del genere servirebbe una rivolta delle coscienze – sostiene l’esponente dell’Asgi – Qui quello che manca è la politica, quello che manca è la società civile, quelle che mancano sono le istituzioni, che sono in mano a persone senza senso dello Stato, che non si fanno nessuna remora a strumentalizzare le persone, i loro diritti e le istituzioni per piegarle ai loro interessi politici”.

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