L’aggressione avvenuta ieri mattina ai danni dei lavoratori in sciopero davanti al magazzino Euroingro di Prato è solo l’ultimo episodio in ordine di tempo della violenza padronale ai danni di operai che alzano la testa. E racconta di una situazione nel distretto tessile della città toscana dove la progressiva sindacalizzazione della forza lavoro guasta i profitti di aziende dell’abbigliamento e della moda che finora si sono garantite profitto attraverso sfruttamento e paraschiavismo.
La violenza padronale contro la sindacalizzazione nel distretto tessile di Prato
Lo sciopero, proclamato dal sindacato Sudd Cobas, vedeva coinvolti lavoratori pakistani di cinque aziende pronto moda che vendono le proprie merci all’interno del magazzino all’ingrosso Euroingro, il più grande d’Europa.
Gli operai lamentavano anni di lavoro senza contratto e turni da 12 ore al giorno. Una situazione di totale irregolarità che ha portato il sindacato a proclamare l’agitazione, come avvenuto nei mesi e negli anni precedenti in altre vertenze all’interno del distretto tessile di Prato.
«Dopo un’ora dall’inizio del picchetto – racconta ai nostri microfoni Francesca di Sudd Cobas – è arrivato un gruppo di una trentina di persone tra imprenditori e caporali, che ha tentato di aggredire i lavoratori e di distruggere i gazebo allestiti».
Non è la prima volta che avviene un’aggressione padronale nei confronti dei lavoratori in sciopero nel distretto tessile di Prato. L’anno scorso si verificò un’analoga situazione, in cui i lavoratori furono assaltati con spranghe di ferro e mazze da baseball.
«In questi anni purtroppo le istituzioni hanno fatto sempre troppo poco – spiega la sindacalista – Abbiamo visto l’archiviazione di denunce di lavoratori vittime di aggressione e abbiamo sentito esponenti istituzionali mettere in dubbio le versioni dei lavoratori che raccontavano le condizioni di schiavitù che subivano». Nell’ultimo anno qualcosa è cominciato a cambiare, ma c’è ancora chi, tra gli imprenditori del settore, si sente ancora in diritto di aggredire i lavoratori che reclamano condizioni dignitose.
È proprio il processo di sindacalizzazione in uno dei settori dove lo sfruttamento è ampiamente diffuso la ragione che ha motivato le aggressioni. Nel distretto tessile di Prato, prima che i lavoratori e le lavoratrici prendessero consapevolezza dei propri diritti, c’è chi si è arricchito attraverso lo sfruttamente e, una volta che la maschera è caduta, ha tentato con le cattive di riportare l’ordine propedeutico ai profitti.
Le narrazioni distorte: l’etnicizzazione del conflitto e le due filiere
Sudd Cobas, una delle realtà che più di tutte sta operando la sindacalizzazione dei lavoratori del settore, ha realizzato diverse vertenze nel distretto e sottolinea che alcune di queste hanno coinvolto anche grandi brand della moda italiana.
«Una delle narrazioni distorte che viene purtroppo fatta è che esistano due distinti distretti, quello italiano delle eccellenze e quello cinese dell’illegalità – continua Francesca – In realtà sappiamo che esiste un unico distretto, dove le filiere sono contraddistinte da numerosi subappalti opachi, che rendono difficile anche risalire la filiera».
Allo stesso modo, il sindacato rigetta la narrazione di uno scontro etnico alla base del conflitto, che vedrebbe da un lato lavoratori pakistani e dall’altro imprenditori cinesi.
«Sappiamo che la maggior parte delle persone sfruttate sono cinesi – sottolinea la sindacalista – La linea del conflitto è molto chiara e non è etnica: è quella dei lavoratori da una parte e degli imprenditori dall’altra».
Sudd Cobas è uno dei sindacati che ha partecipato alla campagna Abiti Puliti, che in particolare chiede alla maggioranza di governo di non approvare la norma che introdurrebbe uno scudo penale per le aziende della moda che aderiscono ad una certificazione.
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