La voce di Giorgio Monti tradisce una stanchezza che non si allenta mai davvero. È rientrato a Bologna solo per pochi giorni, strappato alla polvere e alle sirene di Gaza, dove coordina la clinica di Emergency. Ma anche qui, nella Sala Borsa affollata di giornalisti, sembra portare addosso il peso di ciò che ha visto. «Quella a Gaza non è una pace. È una tregua, peraltro guerreggiata – dice – Le bombe si sentono ancora».
La campagna per sostenere la clinica di Emergency a Gaza
Proprio per sostenere il lavoro della clinica, il Sant’Orsola, il Comune e l’Ausl di Bologna hanno lanciato due mesi fa la campagna “Non uno di più”: finora 41.000 euro raccolti, quasi 800 donazioni, l’obiettivo di arrivare a 100.000 in un anno. «Il nostro è un ospedale indipendente – ricorda Monti – Ogni giorno vediamo circa 500 persone: feriti, cronici, donne incinte, bambini da vaccinare. Facciamo ciò che serve, ogni singolo giorno».
Il rapporto del medico con il Sant’Orsola è diretto: lavorava al Policlinico prima di andare a Gaza ad aiutare a curare le vittime del genocidio. «Sono orgoglioso dell’ospedale che mi permette di andare e di continuare a essere retribuito», osserva Monti.
Ma non è la sua situazione personale al centro del suo racconto, quanto una situazione che, a Gaza permane difficile. «La situazione è la stessa di mesi fa – continua – Non ci sono ospedali, non c’è cibo, l’acqua è un bene preziosissimo. Nella clinica di Emergency abbiamo farmaci, ma non abbiamo garze: le tagliamo in quattro per farle durare».
Il cessate il fuoco, spiega, è un concetto fragile. Una parola troppo grande per ciò che davvero accade. «Non si sa chi ha il controllo del territorio, chi gestirà la sicurezza, la sanità. Non sappiamo cosa accadrà domani. È una tregua che continua a esplodere».
Il medico parla della Striscia come di un corpo ferito fino all’osso. Un territorio lungo come la distanza tra Bologna e Castel San Pietro, ma dove vivono due milioni di persone: «Una densità dieci volte quella della Bolognina, ma in tende, senza palazzi». L’acqua può costare fino a cinque euro al litro. E mentre elenca i numeri, Monti guarda spesso in basso, come se ogni dato fosse una ferita personale: oltre 4.000 bambini amputati, 60.000 persone con disabilità totali, un ferito su quattro destinato a convivere con un’invalidità permanente.
La ricostruzione di Gaza è un’idea remota. «Per ogni metro quadro ci sono 170 chili di macerie – dice citando uno studio dell’Onu – Serviranno dai due ai vent’anni solo per ripulire il terreno. E poi bisognerà ricostruire». Un futuro che sembra lontanissimo, quasi irreale.
Monti però riconosce un lento cambiamento: «Va un po’ meglio, lo devo dire. Ho chiesto per un anno che finisse la guerra totale, e ora è meno incessante. Ma questo non è sufficiente. Serve un passo in più».
La pressione internazionale, sostiene il medico italiano, ha avuto un peso. Il suo appello è a non spegnere questo sguardo dall’esterno: «Serve a noi per sentirci supportati. A Gaza non esiste un posto sicuro».
Martedì rientrerà nella Striscia, con il solo bagaglio personale: «Non possiamo portare farmaci o materiali. Quindi chi è dentro dipende totalmente dall’aiuto di chi è fuori».
Accanto a lui, la direttrice generale del Sant’Orsola, Chiara Gibertoni, lo osserva con una fierezza che commuove: «Giorgio è un figlio del Sant’Orsola. Nel suo impegno c’è il cuore della nostra comunità». Il Natale è vicino, sottolinea, «e mai come ora serve generosità, perché la disparità che Monti ci racconta è evidente e struggente».
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