Dopo sette anni di silenzio, i Radiohead, la storica band britannica torna a esibirsi dal vivo con un nuovo tour europeo, che ha già acceso l’entusiasmo dei fan. Tra le venti date annunciate, spiccano anche le quattro tappe italiane previste all’Unipol Arena di Bologna il 14, 15, 17 e 18 novembre. Un ritorno atteso e inaspettato, che promette di riportare sul palco brani diventati culto come Creep e No Surprises, ma che fin dall’inizio è stato accompagnato da una scia di polemiche.
Accanto all’euforia per la reunion, infatti, non sono mancate tensioni e delusioni: prima il riemergere delle vecchie controversie politiche che da anni circondano la band, poi le difficoltà legate al sistema di vendita dei biglietti. Un rientro, insomma, che lascia il pubblico diviso tra la gioia del ritorno e la disillusione per tutto ciò che ne ha offuscato l’immagine.
Quattro date dei Radiohead a Bologna: tutte le polemiche
Le polemiche attorno ai Radiohead nascono a partire dal 2017, quando la band finì nel mirino per aver suonato a Tel Aviv durante l’ultimo tour mondiale che ha preceduto la pausa. L’esibizione, confermata nonostante le pressioni del movimento pro-Palestina e di figure come Ken Loach e Roger Waters, aveva sollevato accuse di insensibilità politica e alimentato un acceso dibattito.
Thom Yorke, allora, aveva risposto sostenendo che «suonare in un Paese non significa appoggiarne il governo», paragonando la scelta a quella di esibirsi negli Stati Uniti. Il frontman aveva inoltre definito il boicottaggio “paternalistico” e “offensivo”. Parole che col tempo ha in parte ritrattato: più recentemente, infatti, Yorke ha ammesso di essersi pentito di aver portato il tour in Israele. Anche il chitarrista Jonny Greenwood è stato spesso coinvolto nelle critiche, sia per la sua collaborazione di lunga data con il musicista israeliano Dudu Tassa, sia per il matrimonio con Sharona Katan, di origini israeliane.
Con l’annuncio delle venti nuove date europee, la Campagna Palestinese per il Boicottaggio Accademico e Culturale di Israele (PACBI) è tornata a chiedere alla band di prendere posizione e di condannare apertamente le politiche di Tel Aviv, accusata dalla comunità internazionale di crimini contro i civili palestinesi. Da parte dei Radiohead, però, non è arrivata alcuna risposta ufficiale. Il silenzio, giudicato da molti come complice, è proseguito mentre la crisi a Gaza raggiungeva la sua fase più drammatica.
Solo il 27 ottobre, in un’intervista al Sunday Times, Yorke ha dichiarato che non si esibirà più in Israele. Un’ammissione arrivata con del ritardo, che riapre il dibattito su quanto una band storicamente attenta all’etica e alla coerenza possa davvero restare neutrale di fronte alle ingiustizie del presente.
Come se non bastasse, il sistema d’acquisto dei biglietti per queste venti date ha penalizzato molti fan, ha generato caos e frustrazione, e questo discorso riguarda l’intero sistema dei live, perciò i Radiohead hanno fatto nuovamente discutere.
Per accedere alla vendita era necessario registrarsi tra il 5 e il 7 settembre: un passaggio presentato come misura anti-bagarini e anti-bot, con l’obiettivo di proteggere i “veri” appassionati. Ma il meccanismo si è presto rivelato fragile. La registrazione non assicurava l’acquisto, ma solo la possibilità di ricevere un codice di accesso. Chi non si iscriveva restava escluso, chi lo faceva finiva in un limbo incerto.
Già qui la promessa di trasparenza ha cominciato a incrinarsi: utenti connessi dallo stesso dispositivo hanno avuto esiti opposti, alcuni ammessi, altri esclusi; qualcuno è riuscito a comprare in pochi minuti, altri sono rimasti intrappolati per ore in code virtuali senza spiegazioni. Molti hanno denunciato errori tecnici, codici mai arrivati, procedure interrotte. L’impressione diffusa è stata quella di un sistema governato dal caso più che da regole chiare — una lotteria digitale che ha tradito la fiducia dei fan.
Dopo giorni di proteste è arrivata una “toppa”, che ha consentito ai registrati di acquistare i biglietti senza rincari. Ma il danno d’immagine era ormai fatto. E non è tutto: diversi utenti hanno segnalato di essere stati assegnati automaticamente a date o città non richieste, come Bologna, nonostante avessero indicato località estere e fossero disposti a sostenere le spese di viaggio pur di scegliere liberamente dove vivere il concerto. Anche la libertà di scelta, insomma, è venuta meno.
Il paradosso più grande, però, riguarda proprio l’immagine dei Radiohead. La band, da sempre percepita come distante dalle logiche del mercato e attenta ai propri fan, nel 2025 introduce per la prima volta i “pacchetti vip”: biglietti a prezzi maggiorati con trattamenti esclusivi, in perfetto stile pop star. Un dettaglio solo in apparenza marginale, ma che mina alle radici quella diversità tanto sbandierata nel tempo. La retorica della trasparenza e dell’etica, da sempre parte del DNA del gruppo, si scontra qui con una realtà che appare ben diversa.
Insomma, il tutto è stato giustificato dall’obiettivo nobile di contrastare i reseller e i bot, peccato che i mezzi siano risultati discutibili: è stato costruito un apparato che ha penalizzato proprio i fan più veri.







