Dall’efferato femminicidio di Alessandra Matteuzzi ai casi che si moltiplicano anche sulla cronaca locale, come quello di una donna che ha subìto angherie e maltrattamenti per 10 anni a Malalbergo o la donna che veniva picchiata quotidianamente per 22 lunghissimi anni a Molinella. Il fenomeno della violenza di genere non accenna a placarsi e, anche quando le donne trovano la forza e il coraggio per denunciare, spesso le persecuzioni non sono finite e la fuoriuscita dalla violenza non è assicurata. Al punto che viene da interrogarsi sull’efficacia degli strumenti, giuridici e sociali, a protezione delle vittime.

Violenza di genere dopo la denuncia: si può prevenire?

Susanna Zaccaria è la presidente della Casa delle Donne per non subire violenza di Bologna. Avvocata, per anni ha collaborato con l’associazione che ora presiede, tranne una pausa per ricoprire il ruolo di assessora alle Pari Opportunità nel Comune di Bologna. Assieme a lei cerchiamo di capire quanto la legislazione e le reti di supporto e protezione contro la violenza di genere funzionino e quanto, invece, ci sia ancora da fare.
«Non me la sento di dire se i casi di violenza di genere siano in aumento o se sia aumentata l’attenzione – osserva ai nostri microfoni – Certo è che negli ultimi anni i numeri sono alti. Le notizie più frequenti spingono anche le donne a segnalare prima gli abusi e questa è una buona notizia».

Le forme più efferate di violenza alle donne, come il femminicidio, sono però «la punta di un iceberg su cui non è facile lavorare». Dagli ultimi casi finiti nelle cronache locali, infatti, emerge che molte delle vittime di violenza avevano già trovato il coraggio di denunciare. Ciononostante gli aguzzini non si sono fermati, nemmeno in presenza di provvedimenti restrittivi, come il divieto di avvicinamento.
Viene quindi da chiedersi se gli strumenti in campo, sia dal punto di vista giudiziario che sociale, siano adeguati a prevenire il perpetrarsi della violenza. «Gli strumenti iniziano ad essere diversi e sono stati anche potenziati negli ultimi anni – afferma Zaccaria – Ci sono misure cautelari, divieti di avvicinamento, aggravamento delle misure cautelari fino al carcere e ci sono anche provvedimenti civilistici».

Il problema, quindi, scaturisce da un’alta quantità di casi, di cui molti con un’alta pericolosità. Per questo è fondamentale fare bene la valutazione del rischio che la donna corre e ciò non è lasciato al caso, ma segue precisi protocolli e indicatori, come ad esempio se l’uomo è in possesso di un’arma, se abusa di sostanze alcoliche, la violenza fisica o l’incapacità all’idea di rinunciare alla relazione, che in realtà è il fattore principale.
A compiere questa valutazione devono essere tutti i soggetti che entrano in contatto con la donna maltrattata, dalle forze dell’ordine ai centri antiviolenza. Solo in questo modo si potrà mettere in campo lo strumento di protezione più adeguato.
Oltre ai provvedimenti giudiziari nei confronti di chi agisce o minaccia di agire violenza, però, ci sono anche forme di protezione che coinvolgono direttamente le vittime, tra cui quelle più sicure sono le case rifugio. «Stare in un luogo sconosciuto è la più alta forma di protezione – spiega Zaccaria – ma è anche quella che fa sacrificare le donne, che non possono lavorare, non possono trovare i famigliari, i figli per un periodo non possono frequentare le scuole e così via».

Le ultime storie di violenza maschile che abbiamo letto nelle cronache, però, raccontano anche della solitudine della donna, di un suo isolamento da un contesto sociale che avrebbe potuto fornirle supporto e contribuire a fermare la violenza.
«Il grosso problema è quando le donne subiscono violenza nella loro quotidianità, perché socialmente la violenza viene molto sottovalutata e tollerata – evidenzia la presidente della Casa delle donne – Quando succede a una persona che si conosce non c’è la stessa indignazione di quando si va ai convegni o si leggono storie di femminicidi. La stigmatizzazione dei comportamenti violenti nel quotidiano la vediamo molto poco e purtroppo spesso le donne non vengono credute, ecco perché è importante il lavoro dei centri antiviolenza».

In più, spesso i comportamenti possessivi degli uomini tagliano completamente la rete sociale delle donne, diminuendo così la possibilità di entrare in contatto con amiche che possono offrire sostegno.
Ma visto che il problema della violenza di genere è essenzialmente un problema degli uomini che la agiscono, non è ipotizzabile che vengano attivati percorsi nei centri rivolti agli uomini maltrattanti che non siano solo su base volontaria? «In parte questo avviene già – rivela Zaccaria – perché con la legge del 2019 sul Codice rosso gli uomini possono accedere a questi percorsi per avere la sospensione della pena. Su questa cosa ci sono alcune perplessità, perché è evidente che uno potrebbe seguire un percorso solo per avere dei benefici, ma comunque male non fa».

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