In occasione della Giornata della Memoria l’Associazione 21 luglio presenta il Rapporto “Vietato l’ingresso”, una raccolta di 21 interviste per produrre conoscenza e scambio, decostruire gli stereotipi e “creare un ponte” tra due comunità estremamente diverse ma “vicine”.

Ce lo ripetono fin da piccoli, un po’ per spaventarci un po’ perchè ci credono davvero, che “se ti allontani dalla gonnella di mamma quella zingara ti ruba”. Zingari che rubano i bambini, che vivono in roulotte sgangherate, “addestrati” per scipparci, “parassiti” della società. Quando nel marzo dell’anno scorso è esploso il caso di Maria, la bambina bionda con gli occhi azzurri trovata in Grecia in un campo rom, quasi non ci si riusciva a credere. “Allora è vero quello che si dice”, commentavano i più. Dato che la bambina non aveva i tratti somatici peculiari della comunità rom i presunti genitori dovevano per forza averla rapita. Occasione colta al volo dall’opinione pubblica e dai media per alimentare uno stereotipo che da che mondo è mondo abita la nostra società, per poi relegare il tutto in ultima pagina con tante scuse appena ci si accorse dell’errore.

Non è certo una novità asserire come storicamente rom ed ebrei siano stati sempre usati come capri espiatori su cui riversare il malcontento dell’opinione pubblica, specialmente nei periodi di crisi economica. Molte voci concordano nell’affermare come le leggi razziali, seppur scomparse dalla legislazione, siano rimaste ben radicate nelle menti di molte persone, educando le nuove generazioni ad avere paura del diverso.

Oggi, in occasione della Giornata della Memoria, l’Associazione 21 luglio presenta il rapporto “Vietato l’ingresso”, un volume di 120 pagine che indaga il passato e il presente dell’esclusione sociale promuovendo un dialogo fra la comunità ebraica e la comunità rom della capitale. Nel marzo 2014 l’Associazione diffuse la notizia shock che in una panetteria del quartiere romano Tuscolano, nella periferia sud-orientale di Roma, era comparso un cartello che vietava l’ingresso nel locale, e la sosta davanti al negozio, agli zingari, accompagnandola ad un comunicato stampa di condanna. Nel tentativo di evidenziare il chiaro parallelismo affiancò poi alla foto del cartello incriminato due altri cartelli che nella Germania del 1938 e nel Sudafrica del 1953 impedivano l’ingresso ad ebrei e neri. Dall’analisi delle reazioni a questo fatto di cronaca emerse però il netto rifiuto dell’opionione pubblica a mettere sullo stesso piano la condizione degli ebrei o dei neri nel secolo scorso e quella della comunità rom nell’Italia di oggi.

Dall’esigenza di comprendere questo fatto e di sottolineare con forza la pericolosità di questo messaggio, forte dell’esperienza del passato, è nato il contatto con esponenti della comunità ebraica romana, che si è allargato poi ad insegnanti, storici, antropologi e giornalisti, intellettuali ebrei non aderenti a comunità religiose e, naturalmente, artisti, mediatori culturali, attivisti e docenti universitari rom.
Da questa collaborazione è nata una raccolta di 21 interviste ad altrettanti personaggi, per lo più rom ed ebrei, nelle quali ci si confronta sulle nuove forme di esclusione sociale rafforzate da vecchi e ingannevoli pregiudizi, sulle ragioni della legittimazione sociale del razzismo verso i rom, sul “cancro” della disinformazione e sui risvolti politici aperti dalla dilagante percezione dei “rom-privilegiati” poichè beneficiari di forti investimenti pubblici.

Il volume si conclude con l’intervento di Santino Spinelli, in arte Alexian, compositore, cantautore, insegnante, poeta, saggista e personalità di spicco della comunità rom. “I Rom non sono nomadi per cultura e i campi nomadi, costosissimi, sono segregazione razziale indegna di una società civile“, ha dichiarato Spinelli in una recente intervista, aggiungendo poi che “Rom e Sinti non sono mai stati protetti politicamente e mai tutelati realmente. Non sono mai stati risarciti economicamente, socialmente e moralmente come invece è successo con gli ebrei. Nessun Rom o Sinto fu invitato a Norimberga per accusare i propri carnefici”.

Effettivamente della Shoah degli “zingari” si parla sempre troppo poco, come a farne morti “di serie B”. Affinché la loro memoria sia degnamente ricordata alla pari del genocidio degli ebrei è importante anche rammentare, non solo in questa giornata, la “Porrajmos”, o “Samudaripen”, nomi che in pochi conoscono ma con cui in lingua romanì Rom e Sinti indicano lo sterminio del proprio popolo perpetrato da parte dei nazisti durante la seconda guerra mondiale, che provocò la morte di 500.000 persone.

Alice Benatti