Da un lato il cuneo fiscale, ma con un taglio dell’Irpef che favorirebbe solo un’aliquota di ceti medio-alti, dall’altro una stretta sul reddito di cittadinanza, seguita ad una campagna di criminalizzazione dei percettori. C’è poi il nodo delle pensioni, con Quota 102 e poi 104 e ancora poca chiarezza su quella che sarà la riforma degli ammortizzatori sociali in senso universalistico, a causa della reticenza delle imprese a contribuire.
«È una legge di Bilancio che si concentra e prova nuovamente a scaricare quel po’ di ripresa sulle spalle dei lavoratori, cercando in qualche modo di riesumare una pace sociale nell’alto della società», commenta ai nostri microfoni l’economista Marta Fana.

La bozza di legge di Bilancio: aiuti al solito ceto medio-alto

Sarebbero 8 i miliardi di euro che servirebbero a ridurre il cuneo fiscale, ma a beneficiarne sarebbe solamente il ceto medio-alto, in particolare quello che rientra nel terzo scaglione Irpef. «La misura favorirebbe sostanzialmente i percettori di reddito tra i 28mila e i 55mila euro l’anno – osserva Fana – che significa che è tagliato fuori più del 60% della società italiana, fatta di lavoratori che non arrivano ai 21mila euro annui».
Per contro, viene confermato il reddito di cittadinanza e viene anche incrementato il finanziamento, che dovrebbe ammontare ad un miliardo di euro, ma le campagne mediatiche e politiche degli ultimi mesi sembrano avere sortito effetto.

Attorno al reddito di cittadinanza ci sarà con ogni probabilità un rafforzamento dei controlli preventivi e delle procedure per ottenerlo, oltre a un meccanismo che incentiva a tornare sul mercato del lavoro. Nel caso di rifiuto di un’offerta, infatti, verrà decurtato l’assegno con un sistema simile a quello della Naspi.
«I percettori del reddito di cittadinanza non possono rifiutare la seconda offerta di lavoro – evidenzia l’economista – che significa che saranno costretti ad accettare nuovamente contratti precari e brevi, con salari da fame».

Fana punta il dito anche contro il tentativo di superamento dell’Irap, un’imposta che va a finanziare la sanità. «Ricordiamoci che siamo ancora in una pandemia – sottolinea – e che il sottofinanziamento della sanità pubblica avvenuto negli ultimi quindici anni ci ha regalato la situazione disastrosa e di sottocupazione e sottinvestimento che ci siamo ritrovati l’anno scorso».
Se si considera anche il caro-bollette, che pure viene affrontato nella manovra ma con poche risorse, e lo sblocco degli sfratti, continuerà l’erosione del potere d’acquisto dei lavoratori e delle lavoratrici.

Quanto alle pensioni, in manovra potrebbe essere introdotta nel 2022 “Quota 102“, cioè un meccanismo che consentirebbe di andare in pensione con 64 anni di età e 38 di contributi (ci rientrerebbero poco meno di 50mila persone), e nel 2023 “Quota 104“. Questo consentirebbe di ammorbidire lo scalone della Fornero, che costringerebbe ad aspettare i 67 anni per dire addio al lavoro.
Il problema, però, è strutturale. «C’è l’inganno secondo cui, facendo lavorare di più le persone, si contribuisce di più alle pensioni, ma non è vero – afferma Fana – Le pensioni di oggi vengono pagate dai lavoratori più giovani, che però non riescono a contribuire proprio perché hanno carriere lavorative frammentate e scarsi salari».

Molto meno delineata, al punto che è possibile constatare un temporeggiamento da parte del governo, è la riforma degli ammortizzatori in senso universalistico, cioè per coprire anche quelle categorie di lavoratori, in particolare gli autonomi, che attualmente sono esclusi dalla protezione.
«Non c’è un accordo e tantomeno l’intenzione di garantire ai lavoratori una continuità di reddito nei casi di licenziamento o interruzione delle carriere lavorative per gli autonomi – chiosa l’economista – Il governo non dovrebbe accollarsi interamente i costi degli ammortizzatori sociali, ma le imprese ancora oggi continuano a chiedere incentivi e sgravi, di conseguenza non sono disposte a pagare nulla».

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