Estendere il vincolo del matrimonio alle persone dello stesso sesso non è obbligatorio. È questo il parere della Cassazione che ha respinto il ricorso di una coppia gay che voleva sposarsi in Campidoglio, ma che ha anche sottolineato l’urgenza di garantire uno statuto protettivo a queste unioni.

Se da una parte riconoscere un matrimonio tra persone dello stesso sesso non è obbligatorio, dall’altra però è necessario stabilire al più presto uno statuto protettivo con diritti e doveri per le coppie di fatto, compresi gay e lesbiche. È questo il verdetto finale della Cassazione che ha respinto il ricorso di una coppia gay che voleva sposarsi in Campidoglio e pubblicare le nozze.

Secondo i giudici della Suprema Corte non esiste infatti un obbligo, da parte della Costituzione o dell’Europa, che imponga al legislatore di estendere il vincolo del matrimonio alle persone dello stesso sesso, ma spetta ad ogni singolo stato provvedere in tal senso. Ciò che però sottolinea l’ultima sentenza, non è tanto la necessità di permettere a gay e lesbiche di sposarsi, ma la necessità di garantire a questo mondo il giusto riconoscimento, che significa pari diritti ed eguaglianza.

“Occore – si legge nelle carte della sentenza – dare un riconoscimento, in base all’articolo 2 della Costituzione che tutela i diritti umani dei singoli e della loro vita sociale e affettiva, ad un nucleo comune di diritti e doveri di assistenza e solidarietà propri delle relazioni affettive di coppia, e affermare la riconducibilità di tali relazioni nell’alveo delle formazioni sociali dirette allo sviluppo, in forma primaria, della personalità umana”.

La Corte dunque, come spiega Vincenzo Branà, presidente del Cassero di Bologna, sembra dire che prima di parlare di matrimonio sì o matrimonio no, occorra garantire a tutti gli stessi diritti. “Spesso ci perdiamo nel sofismo di decidere quale sia la forma, ma non parliamo di diritti. È dal 2010 che le corti esprimono diversi solleciti al potere legislativo per colmare questa lacuna“. Insomma è bene interrogarsi se sia giusto o meno concedere anche ai gay il diritto di sposarsi, ma prima è necessario fare un passo indietro. “Bisogna iniziare a parlare di uguaglianza e della mancanza, come hanno i sottolineato i giudici, di leggi che tutelino chi decide di stare con una persona dello stesso sesso. Dobbiamo ricordarci che in Italia una legge sulle unioni gay non solo non è mai passata, ma non è proprio mai stata discussa” conclude il presidente del Cassero.

Nell’articolo 8 della Carta dei diritti fondamentali della Ue, si legge ancora nel verdetto della Corte,  si sancisce il diritto alla vita privata, che indirettamente contiene anche il diritto a vivere una relazione, con persone dello stesso sesso protetta dall’ordinamento, ma non necessariamente mediante l’opzione del matrimonio. Una protezione che però in Italia manca, e di cui se ne sono accorti già da tempo anche i giudici.

“Questa sentenza esprime la direzione della nostra carta costituzionale – conclude Branà – perché sottolinea una necessità di giustizia non ancora raggiunta che si protrae da tanto tempo. Le sollecitazioni dei giudici però per ora non sono mai state ascoltate, anche se speravamo che questo Parlamento le avrebbe prese sul serio”.

Francesca Candioli