I delitti della banda della Uno Bianca, che insanguinò per anni l’Emilia-Romagna tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90, potrebbero essere legati alla “strategia della tensione”, quindi un piano terroristico che fa seguito alle grandi stragi neofasciste con la complicità di parti dello Stato. È l’ipotesi formulata da Alessandro Gamberini, avvocato di parte civile nel processo che portò in galera i fratelli Savi, che insieme ad alcuni dei famigliari delle vittime ha presentato un esposto alla Procura Antiterrorismo e a quelle di Bologna e Reggio Calabria per chiedere di riaprire le indagini.

La banda della Uno Bianca e la strategia della tensione: l’esposto del legale

Per i delitti della Bianca erano state arrestate 58 persone innocenti, dopo processi diversi, grazie a depistaggi costruiti abilmente. Li costruirono i fratelli Savi con l’aiuto di un pezzo di Stato deviato, «in cui avevano qualche complice, che dava loro manforte. Ci sono delle responsabilità annidate nei Carabinieri, in questa vicenda, compresi gli episodi in cui i Carabinieri sono assassinati: Castel Maggiore e il Pilastro». E l’ex brigadiere Domenico Macauda, che venne accusato di concorso nell’omicidio degli stessi militari Cataldo Stasi e Umberto Erriu nell’aprile del 1988 a Castel Maggiore, «è solo la punta dell’iceberg». Uno dei moventi, addirittura, potrebbe essere stato un tentato recupero di credibilità, dopo le indiscrezioni sull’Arma svelate dall’operazione Gladio. Lo annuncia Alessandro Gamberini, avvocato dei familiari delle vittime della banda della Uno Bianca, lanciando oggi un esposto in conferenza stampa in Sala Borsa a Bologna, cui partecipano diversi addetti ai lavori ma anche gli stessi familiari, che per la verità mostrano di condividere solo in parte l’iniziativa del legale.

L’esposto di 250 cartelle verrà inoltrato domattina, spiega Gamberini, alla Procura nazionale Antiterrorismo e alle Procure di Bologna e Reggio Calabria, in particolare per un suo processo intitolato “Ndrangheta stragista” e per i possibili collegamenti con la Uno Bianca, perché si tratta di una vicenda che non può essere trattata solo localmente, rimarca l’avvocato ripercorrendo in conferenza i decenni bui, in sostanza, della storia d’Italia. Sul possibile sviluppo giudiziario che l’esposto innescherà, il diretto interessato dice di non vere “pretese miracolistiche”, ma nel momento in cui potrà essere nominato difensore di parte offesa si saprà di più sulle eventuali nuove indagini.

Ma scandisce Gamberini: «Che la banda della Uno Bianca, composta da sei poliziotti almeno, fosse una banda di terroristi è talmente evidente che desta raccapriccio: i suoi delitti, infatti, vennero commessi puramente per produrre panico. E non attiravano altri componenti grazie al denaro, non c’era una cooptazione di componenti di questo tipo. In tutta l’ultima fase della vicenda non c’è traccia di un guadagno significativo che giustificasse le rapine. Il guadagno che c’è stato avrebbe potuto ottenerlo un qualsiasi poliziotto facendo degli straordinari».

Si è ricominciato a parlare di Uno Bianca e terrorismo, in sostanza, quando tre mesi fa è emersa la dichiarazione spontanea di Roberto Savi datata 2022 sulla sua partecipazione ad alcuni attentati di estrema destra a Rimini, con piccoli ordigni, agli inizi degli anni ’70. Ma la storia è ben più complessa, segnala in quasi due ore di intervento Gamberini. Il suo lavoro di questi mesi e anni, insieme a quello di alcuni familiari delle vittime sulle carte giudiziarie, consentirebbe di unire tra loro frammenti di storia, «al punto da renderli indizi univoci», che convergono verso la stessa ricostruzione: quella della Uno Bianca «è stata un’azione eversiva, sulla base di rapporti che i componenti della banda avevano con entità che si legano alla strategia della tensione nel nostro paese. Su questo legame non si è mai indagato, anche questo – non fa sconti il legale – rappresenta un capitolo nero della magistratura bolognese. Ci sono delle responsabilità annidate nei Carabinieri, in questa vicenda, compresi gli episodi in cui i Carabinieri sono assassinati: Castel Maggiore e il Pilastro».

«Nel quadro completo della storia, si delineano elementi che portano a pensare che dentro all’Arma ci fosse una faccia oscura – rimarca l’avvocato – Qualcosa che rendeva complice una parte dei Carabinieri stessi di questi delitti, di questi depistaggi e delle coperture di questi avvenimenti».
La punta dell’iceberg in tutto questo sarebbe stato dunque Macauda, all’epoca dei fatti brigadiere del Nucleo operativo dei Carabinieri, il cui ruolo non è stato «mai giustificato e mai spiegato – continua Gamberini – Se si guarda alla sua vicenda, anche con semplice buonsenso senza abilità giudiziarie particolari, si capisce che ci si trova di fronte non a qualcuno che calunnia sui responsabili di alcuni delitti, ma un protagonista di primo piano di tutta la vicenda», un complice di fatto della banda o persino qualcosa di più.

Tornando più in generale alla nuova iniziativa giudiziaria, Gamberini lo definisce «un esposto molto significativo: dopo che la Procura ha aperto un fascicolo alla luce della testimonianza di Simonetta Bersani», l’accusatrice dei fratelli Santagata finiti alla sbarra per la strage dei carabinieri del Pilastro il 4 gennaio 1991 e poi assolti, dopo la confessione dei Savi, «questo nostro atto ripercorre complessivamente l’attività di questa banda di terroristi», assicura il legale. Per non dire, insiste Gamberini, della famosa pentita Annamaria Fontana, che sarà protagonista della condanna all’ergastolo del gruppo di pregiudicati catanesi, indicato appunto come la “Banda delle Coop” invece che della Uno Bianca guidata dai Savi. Tutti tasselli, secondo la tesi alla base del nuovo esposto, di uno stesso disegno.

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