Dalla Russia alla Croazia, fino all’Italia ad altri Paesi del mondo. Le femministe stanno prendendo parola in questi giorni contro la guerra e l’aggressione voluta da Putin, ma evidenziando anche le responsabilità e la narrativa patriarcale utilizzata da chi sta al potere nel rispondere a quanto sta accadendo in Ucraina.
Sono diversi gli appelli lanciati in queste ore dalle reti femministe transnazionali contro la guerra e l’8 marzo, che in Italia negli ultimi anni è stato contraddistinto dallo sciopero femminista di Non Una di Meno, sarà anche uno sciopero contro la guerra.

Le femministe contro la guerra già dallo sciopero dell’8 marzo

«Sono molte le voci che in questi giorni hanno evidenziato il bisogno di creare un fronte transnazionale contro la guerra e politiche di pace – racconta ai nostri microfoni Eleonora Cappuccilli della rete East – Le femministe russe, sfidando la censura e la repressione, hanno lanciato un appello a mobilitarsi dicendo che la guerra è il momento in cui la violenza patriarcale esplode in maniera più acuta».
Lo stesso Vladimir Putin, attraverso retoriche belliche, ha affermato valori tradizionali, allo scopo di mettere in discussione l’autonomia delle donne e delle persone lgbtq.

Nello stesso solco si annoverano gli appelli agli uomini che devono arruolarsi per la nazione, l’impossibilità di lasciare l’Ucraina per gli uomini ucraini dai 18 ai 60 anni o la metafora dello stupro utilizzata dalla Russia nel minacciare la guerra.
«Tutto questo è un modo per rendere con la forza gli uomini partecipi alla violenza patriarcale che la violenza esprime al massimo grado. E quindi di riaffermare anche le gerarchie basate sul sesso e sul genere», sottolinea l’attivista.

Militarismo e nazionalismo, del resto, si affiancano al discorso razzista, che ad esempio impedisce a persone presenti in Ucraina, ma di provenienza diversa, spesso africana, di lasciare il Paese. Allo stesso modo la creazione di gerarchie tra profughi o la possibilità di entrare in Europa non con la protezione internazionale, ma con permessi di lavoro, tesi a trasformare i profughi in manodopera per mansioni umili.
«Il movimento femminista transnazionale ha sempre detto che la violenza patriarcale è legata al capitalismo, allo sfruttamento e al razzismo – sottolinea Cappuccilli – Abbiamo sempre contestato questo intreccio mortifero».

Una rete femminista transnazionale, attiva tra l’America Latina e l’Europa, ha discusso due giorni fa della caratterizzazione dell’8 marzo come sciopero femminista contro la guerra come forma estrema di violenza patriarcale.
Allo stesso modo, le femministe croate hanno lanciato un appello, sottoscritto anche da altre donne dell’ex Jugoslavia, che ha dichiarato il proprio no alla guerra.
Anche la rete East (Essential Autonomous Struggles Transnational), che in Italia fa parte di Non Una di Meno, sta discutendo proprio in questi momenti di una presa di posizione che chiami allo sciopero femminista dell’8 marzo come uno sciopero contro la guerra.

ASCOLTA L’INTERVISTA A ELEONORA CAPPUCCILLI: