La bocciatura del referendum sulla cannabis legale da parte della Corte costituzionale è stata una doccia fredda per gli antiproibizionisti italiani. Oltre all’amarezza nel vedere naufragare ulteriormente la possibilità della depenalizzazione e della legalizzazione della canapa nel nostro Paese, sono le modalità scelte dalla Corte costituzionale per comunicare la sua pronuncia e i contenuti stessi della decisione, racchiusi nella conferenza stampa del presidente Giuliano Amato, una modalità piuttosto inusuale, ad aver gettato i proponenti del quesito referendario nello sconforto.

Cannabis affossata dalla Corte costituzionale

Ai nostri microfoni è Antonella Soldo, portavoce della campagna “Meglio Legale” a raccontare la delusione degli antiproibizionisti. «La scelta della Corte costituzionale e del presidente Amato di presentare il responso in conferenza stampa ai giornalisti senza averlo prima presentato a noi, in una conferenza in cui non eravamo ammessi, non ci è sembrata una modalità rispettosa dei cittadini che hanno firmato il referendum, né di un’istituzione seria e sobria», afferma Soldo.
Ed è per questo che già mercoledì sera a qualcuno il metodo con cui si è arrivati alla pronuncia è sembrato molto politico.

Anche nel merito, però, ciò che ha detto Amato per giustificare la bocciatura del quesito non trova d’accordo i proponenti che, anche se la sentenza è inappellabile, evidenziano la bontà delle loro ragioni.
Nello specifico l’obiettivo del referendum era triplice: «togliere le pene detentive sulle condotte legate alla cannabis, legalizzare la coltivazione domestica della cannabis e togliere la sanzione del ritiro della patente, che è una cosa diversa dalla guida in stato di alterazione – specifica Soldo – perché oggi ti possono togliere la patente anche se ti trovano con la cannabis sul divano».

Una legge raffazzonata e ostica da abrogare

Per capire meglio quali sono i punti su cui ha fatto leva la Corte per arrivare alla bocciatura occorre scendere nel tecnico. La legge che disciplina il tema delle sostanze stupefacenti è il Testo Unico sulle droghe che «è una legge raffazzonata, rattoppata, pieno di cose appiccicate prima, poi tolte, poi rimesse, bocciature della stessa Corte costituzionale».
Nel redigere il quesito referendario, quindi, i promotori del referendum hanno provato a fare dei tagli incisivi, ma non tutte le parti da abrogare – perché in Italia il referendum ha solo valore abrogativo – si trovavano nello stesso articolo o nello stesso comma.

«Il richiamo al comma 1 dell’articolo 73 che noi abbiamo fatto – spiega l’attivista – era d’obbligo perché ci sono rimandi interni tra commi. Per legalizzare la coltivazione dovevamo fare un rimando al comma di quell’articolo, perché la parola “coltivazione” è contenuta solo lì».
Ed è a ciò che la Corte costituzionale, nelle parole pronunciate in conferenza stampa dal presidente Amato, si è attaccata, sostenendo che il comma di quella legge non parla nemmeno di cannabis, citata in un altro comma.

Secondo la Corte, però, il rischio era che si desse il via alla legalizzazione di tutte le sostanze stupefacenti, vista la precisazione che lo stesso Amato ha fatto in conferenza.
«Il quesito referendario non avrebbe aperto il campo a cocaina, eroina e tutto il resto – sottolinea Soldo – perché cocaina ed eroina sono sostanze che vanno prodotte, raffinate e per fare ciò occorrono passaggi successivi alla coltivazione delle piante, passaggi che rimanevano puniti dalla legge nonostante l’intervento del nostro quesito».

Ed è proprio sulle droghe pesanti che ha insistito Amato, mercoledì, quando ha parlato degli impegni internazionali dell’Italia. Anche se non le ha esplicitate, il rimando era ai trattati internazionali e le convenzioni Onu sulle droghe ma, ancora una volta, i referendari sostengono che non vi sarebbe stata alcuna violazione degli obblighi.
È per questo che gli stessi proponenti parlano di forzature da parte della Corte per arrivare alla bocciatura del quesito, il quale si doveva destreggiare tra i commi confusi del Testo Unico.

L’ignavia della politica, che fa la splendida

Nei giorni in cui la Corte costituzionale stava esaminando il quesito sulla cannabis si sono sprecate le dichiarazioni di esponenti politici che si dicono favorevoli alla depenalizzazione o alla legalizzazione della cannabis. Tra questi molti parlamentari, cui la stessa Costituzione affida il potere legislativo. Che però non sembrano voler utilizzare, dal momento che, al pari dell’eutanasia, il Parlamento non vuole occuparsi del tema.
«Giovedì sulla pagina del M5S è apparso un post con una dichiarazione del presidente della Commissione Giustizia alla Camera, Mario Perantoni, che diceva che bisogna approvare la legge sulla depenalizzazione della coltivazione domestica – racconta Soldi – Quella legge è bloccata nella sua Commissione da due anni. A questo punto bisogna chiedere al presidente Mario Perantoni di chiedere a se stesso di calendarizzare quella legge».

In ogni caso, la battaglia antiproibizionista andrà avanti, fanno sapere i promotori del referendum, e gli strumenti che verranno utilizzati sono quelli che già si utilizzavano prima: pressione sul Parlamento, disobbedienza civile e ricorsi presso i tribunali.
Ciò che avviene nel resto del mondo e l’estrema velocità della raccolta di firme per il referendum sulla cannabis testimoniano che la strada è inesorabilmente quella della legalizzazione e ciò che resta da vincere è solamente la resistenza del proibizionismo incancrenito in diverse forme.

ASCOLTA L’INTERVISTA AD ANTONELLA SOLDO: