Aduso a frequentare negozi e mercatini (ma anche i luoghi più impensabili) dell’usato videodiscografico e non, mi capita naturalmente di fare, saltuariamente, dei reperimenti singolari.
Fra questi, uno degli ultimi pescati qualche mesetto fa, mi ha indotto ad un suo utilizzo per la presente trasmissione, precisamente per la puntata del primo luglio, nella quale, per la prima volta, maneggio un vinile (quello che ai miei tempi si chiamava banalmente disco oppure ellepì, od anche 33 giri), rispetto ai cd e file digitali con i quali mi sono sempre destreggiato (assai più comodamente, in verità) in precedenza.
Premetto, nessuna concessione modaiola, men che meno nostalgica, con i vinili, per ragioni anagrafiche, ci sono cresciuto, ma non li mitizzo affatto, anzi, tutt’altro! Comunque, fra le ragioni che mi hanno istigato a considerarlo (oltre che, innanzitutto, ad acquistarlo) vi è il fatto che, ad un primo esame, non parrebbe essere stato ripubblicato su cd, altro motivo le condizioni esteriori che, cominciando dalla custodia, apparivano ottime (il disco stesso risultava praticamente intonso ed in ciò è pure indicativa la zona dell’etichetta nei paraggi del foro centrale, assolutamente priva di alcun segno d’usura in ambo le facciate), senz’altro l’ho scelto precipuamente per il suo contenuto musicale e ultimo, ma non meno importante, per il suo prezzo stracciato (unico fattore per il quale quest’aggettivo assume connotazione affatto negativa, perlomeno per chi se lo compra), dico bene?
Ma venendo finalmente all’oggetto in questione, trattasi di “WE KNOW WHAT WE LIKE – THE MUSIC OF GENESIS”, prodotto, arrangiato e diretto da David Palmer, a capo dell’Orchestra Sinfonica di Londra, con il Charterhouse School Choir condotto da William Llewellyn, Steve Hackett alla chitarra, Mo Foster alla chitarra bassa, Trevor Bastow, Tony Hymas e David Palmer alle tastiere, Brett Morgan alla batteria ed Ian Anderson al flauto. Il tutto registrato digitalmente (!) ai CBS Studios di Londra ed ai Jacobs Studios di Farnham nel Surrey, infine masterizzato agli Abbey Road Studios, nuovamente a Londra. Il disco è stato pubblicato dalla RCA tedesca, nel marzo 1987.
Ciliegina sulla torta, le note, in inglese, datate al gennaio ’87, sul retrocopertina, a firma di un “certo” George Martin! Ma non basta, all’interno vi è un inserto con la loro traduzione trilingue (francese, tedesco e udite udite, financo italiano, sia pure un poco fantasioso e con almeno un errore). Le riporto qui di seguito integralmente, poichè migliore presentazione non potrebbe esserci, a questo punto!
Così scrive George Martin: “Se m’avessero chiesto, negli anni ’60, che cosa pensavo sul futuro della musica classica e della musica popolare, avrei dichiarato con fiducia che il mondo della musica classica e della musica popolare si stavano avvicinando, imparando l’uno dall’altro con reciproco vantaggio ed un miglioramento di qualità per entrambe. Ora, con il senno di quest’ultimi 20 anni, non ne sono più così sicuro.
Man mano che ci avviciniamo alla fine del 20° secolo, trovo che il mondo della musica pop è stato conquistato dal computer, con il risultato d’una pletora di suoni sintetizzati mentre al mondo della musica classica non rimane altra soluzione, a quanto pare, che attardarsi sulle glorie del passato. Anche il cinema, che pareva essere l’ultimo bastione in grande scala della musica orchestrale più originale, s’accontenta principalmente d’una ricetta cotta e mangiata a base di suoni artificiali e di batterie elettroniche. Non fraintendetemi, un tempo ho accolto a braccia aperte il sintetizzatore come un elemento coloristico supplementare dal valore incalcolabile nella nostra tavolozza musicale, ma l’idea di suoni sintetici che soppiantino completamente gli strumenti reali, mi fa paura.
David Palmer, grazie a Dio, realizza l’integrità di tutte le forme musicali. E’ quell’animale raro, un musicista di talento profondo e genuino, che si trova a suo agio in tutti i campi. Ha lavorato accanto ai più grossi nomi del rock&roll, eppure la sua istruzione nel campo della musica classica s’è compiuta, in termini di studi, con colui che è forse il migliore dei nostri compositori viventi, Richard Rodney Bennett.
Considero l’orchestra sinfonica come lo strumento musicale per eccellenza. In mani capaci può creare i suoni più meravigliosi, evocando l’emozione più profonda. Ma non tutti sono capaci d’utilizzarla bene. Molti dei nostri grandi compositori del passato, ci hanno mostrato che cosa si poteva ottenere: Debussy, Ravel e Stravinski hanno portato l’arte dell’orchestrazione al suo livello più elevato. L’abilità di David con le orchestrazioni, non necessita di raccomandazioni da parte mia. E’ lì perchè tutti la ascoltino.
In quest’album, egli ha scelto la musica dei Genesis, nel suo momento più inventivo e fruttuoso ed il suo colorismo orchestrale ne ha messo in evidenza una ricchezza che prima non avevo pienamente apprezzato. Infatti, ascoltando i suoi arrangiamenti, mi viene il desiderio di ritornare alle incisioni originali dei Genesis per riascoltarle.
Egli non si limita a trascrivere il contenuto puro e semplice delle vecchie registrazioni. E’ qui che il confine che divide l’arrangiamento dalla composizione, si fa meno netto. Si ascolti il suo “Los Jigos”. Ha messo insieme un certo numero di motivi in 6/8 provenienti da varie parti della produzione dei Genesis ed ha composto una giga piena d’allegria, che riecheggia la precedente idea d’una ricapitolazione di temi fatta dal gruppo medesimo, che la intitolò ‘Los Endos’. Ed il modo in cui utilizza il Charterhouse School Choir, rimanda felicemente alla genesi degli stessi Genesis.
Deducete da tutto questo che mi piace la musica orchestrale? Ebbene, se è quella che viene fuori dai musicisti dell’Orchestra Sinfonica di Londra e dalla penna di David Palmer, non ci sono dubbi.”
Concludendo con alcune notazioni audiofile del sottoscritto, v’avverto di non fidarvi troppo delle sonorità particolarmente tenui dell’inizio, poichè, procedendo, il disco rivela degli sbalzi dinamici degni dei migliori cd (per la cronaca, la testina è una Ortofon GT piazzata su un giradischi a trazione diretta Reloop). Inoltre il minutaggio (ma anche il criterio d’incisione, a basso livello ma con ampia escursione dinamica ed estensione in frequenza, assai poco compresso quindi) è più da disco (lp) di musica classica che pop (lato 1, 28’17”; lato 2, 29’29”; per complessivi 57’46”, 10 brani di musica in totale, equamente suddivisi in 5 per facciata). Concezione della copertina dello stesso David Palmer, foto sul retro dei 3 componenti dei Genesis (con annessa pecora) scattata proprio a Charterhouse, nel Surrey.
“Un tocco di classico” va in onda ogni giovedì alle ore 24, in streaming ed in fm 103.1 mhz.
—- Gabriele Evangelista —-