Fa parte della fase finale della parabola artistica di Dimitri Shostakovich (1906-1975), la Suite su versi di Michelangelo Buonarroti, op. 145a, quella degli ultimi 15 anni, in cui l’espressione artistica, caratterizzata dal dolore e dalla rassegnazione, si fa sempre più intima e personale, stante l’acuirsi delle malattie incurabili che lo porteranno alla morte, aliena più che mai dalla retorica di regime, affermando una superiorità interiore rispetto al potere politico vigente, con stimoli esterni che diventavano un salutare pretesto per esprimere tutto ciò.
In questo caso, l’occasione fu data dall’approssimarsi dell’anniversario del 500° dalla nascita del pittore, scultore, architetto e poeta toscano Michelangelo Buonarroti (1475-1563), che indusse il compositore, nell’estate del ’74, a scegliere, nella traduzione in russo d’Avram Efros, 8 sonetti, un madrigale (n.4), un epigramma (n.9) ed un epitaffio (n.11) scritti dall’artista italiano, per creare un ciclo vocale, inizialmente per basso e pianoforte (op.145) e successivamente trascritto per voce ed orchestra (op.145a), versione quest’ultima oggetto della puntata di giovedì 10 marzo.
“La sua arte poetica è coinvolgente in virtù della sua profonda concettualità filosofica, un insolito umanesimo fuso con degli straordinari precetti riguardo alla creazione ed all’amore”, così si espresse il compositore sovietico riguardo a Michelangelo, riferendosi ai suoi delicati e religiosi substrati, ma soprattutto alle sue critiche riguardo alla mancanza di scrupoli della politica, alla lotta fra vita e morte, fra creazione e potere. I titoli degli 11 brani che compongono questa suite (“Verità”, “Mattino”, “Amore”, “Separazione”, “Rabbia”, “Dante / Dal paradiso provenne”, “All’esilio”, “Creatività”, “Notte”, “Morte”, “Immortalità”), sono di mano dello stesso Shostakovich.
Il compositore, a dire il vero, non era molto soddisfatto della traduzione in russo d’Efros (che aveva recentemente raccolto in un volume i poemi michelangioleschi), tanto da commissionarne un’altra nuova versione al poeta Andrei Voznezenski. Pur tuttavia, alla prima assoluta della versione per voce e pianoforte, avvenuta il 23 dicembre del ’74 a Leningrado (l’attuale San Pietroburgo), con il basso Yevgeni Nesterenko ed il pianista Yevgeni Shenderovich, vennero mantenute le traduzioni d’Avram Efros. La prima della versione orchestrale avvenne alla Sala Bolshoi del Conservatorio di Mosca, il 12 ottobre del ’75, un paio di mesi dopo la morte del musicista, nuovamente con Nesterenko come solista, questa volta accompagnato dall’Orchestra Radiotelevisiva dell’Unione Sovietica, diretta da Maksim Shostakovich, figlio dell’autore.
Fu proprio a quest’ultimo che Shostakovich disse di considerare il presente lavoro come la sua 16° sinfonia. In questo ciclo emergono prepotentemente le 2 principali influenze stilistiche dell’artista moscovita: Modest Mussorgsky (con particolare riferimento al “Boris Godunov”) e Gustav Mahler (in particolare il Mahler estremo di “Der Abschied” (L’addio), ultimo brano dal suo ciclo “Das Lied von der Erde” (Il canto della terra), ciclo che Mahler stesso considerava come la sua “vera” 9° sinfonia, guarda caso).
Discograficamente, la versione per voce ed orchestra è quella più favorita, ed in questo caso viene proposta nell’incisione realizzata alla Philarmonie di Colonia, dal 21 al 23 febbraio ’96, dal basso Anatoli Kotscherga, con l’Orchestra Sinfonica della Radiodiffusione della Germania Settentrionale diretta da Michail Jurovski, uscita nel ’98 per la Capriccio e ristampata nel 2014 dalla Brilliant Classics.
Riguardo all’ultimo Shostakovich si può fare lo stesso discorso riconducibile al Sibelius più estremo: ovvero che, ambedue i compositori, operando per sottrazione, ossia depurando progressivamente la loro musica dagli elementi più esteriori, ne ottennero un guadagno enorme in termini di pura potenza espressiva.
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—- Gabriele Evangelista —-