Roma, Napoli, Torino, Genova, Bologna e altre città ancora. Proteste, manifestazioni o occupazioni. Le forme di lotta sono diverse, ma la rivendicazione è unica: interrompere i rapporti, le partnership, i progetti di ricerca delle Università con le industrie belliche, israeliane ma non solo.
Appare come un movimento quello di studentesse e studenti che in tutta Italia, ma non solo, stanno mettendo in agitazione il mondo accademico. Da destinatari di sapere, non sono più disposti ad accettare che la propria formazione sia complice dell’industria della guerra e che i propri studi e le proprie ricerche causino la morte di persone, spesso civili.

La lotta nelle Università contro i rapporti con l’industria bellica

A Bologna, ad esempio, il movimento studentesco guidato dai Giovani Palestinesi ha occupato per sei giorni il Rettorato, fino a quando non è riuscito a strappare al rettore Giovanni Molari un incontro pubblico sul tema, che si terrà il prossimo 24 aprile.
Ancora meglio a Torino, dove l’Università ha deciso di non partecipare al bando MAECI, che avrebbe comportato una cooperazione scientifica con istituzioni di ricerca israeliane, visto il protrarsi della situazione di guerra a Gaza. La votazione si è svolta al termine di un’assemblea che si è tenuta nell’Aula magna del Rettorato tra i senatori e gli studenti del collettivo Cambiare Rotta e Progetto Palestina, che avevano chiesto un confronto sul tema, interrompendo una seduta del Senato accademico.

La vittoria di Torino nasce su impulso di una ventina di docenti che avevano scritto una lettera aperta. Tra questi anche Michele Lancione, docente al Politecnico di Torino e autore del libro “Università e militarizzazione“.
Nel libro lancione racconta come i rapporti sempre più stretti tra gli Atenei e i privati abbiano ormai modificato il volto stesso dell’Università e come i progetti con le industrie belliche permettano a quest’ultime di attingere a un know-how che poi viene utilizzato negli scenari di guerra.

«Il corpo studentesco in generale in questo momento si sta organizzando e sta agendo – osserva Lancione ai nostri microfoni – All’interno di questo movimento ci sono gruppi già organizzati da molti anni, come Cambiare Rotta o Gruppo Palestina, ma stanno nascendo anche altri gruppi spontanei, con forme di associazione anche più libera».
Ciò che sta accadendo, quindi, è che studentesse e studenti hanno ripreso a porsi domande sulla neutralità del sapere. La spinta, ovviamente, arriva da quello che sta accadendo in Palestina, ma anche da altri scenari globali dove la guerra si impone sempre più.

«Noi vediamo un linguaggio militarizzato su un sacco di cose – osserva il docente – e assistiamo a dichiarazioni problematiche fatte anche da capi di Stato, come le dichiarazioni del presidente francese Macron. Lo studente e la studentessa si rende conto che l’Università non è uno spazio avulso da queste dinamiche, ma anzi è uno spazio centrale. Vedono che l’Università fa entrare Leonardo, Frontex, lo Stato israeliano, Eni e capiscono che il problema sussiste, quindi cercano uno spazio per parlarne. È così che dovrebbe essere l’Università».

ASCOLTA L’INTERVISTA A MICHELE LANCIONE: