Le elezioni politiche che si sono svolte ieri in Turchia hanno una valenza storica: il partito del presidente Recep Tayyip Erdoğan (Akp) perde la maggioranza assoluta dei seggi, mentre il partito di sinistra filo-curdo (Hdp) entra per la prima volta in Parlamento. Un risultato che ridimensiona le aspirazioni di Erdoğan verso una riforma presidenzialista. Il commento del giornalista Giuseppe Acconcia da Diyarbakır.
Non sorride il presidente Recep Tayyip Erdoğan, all’indomani delle elezioni politiche in Turchia. Quella che doveva rappresentare una vera e propria investitura popolare per il presidente, si è trasformata invece in una mezza vittoria che ha tanto il sapore della sconfitta. Nonostante il suo Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP) abbia ottenuto ancora più voti di tutti, attestandosi al 40,6% delle preferenze (pari a 258 seggi su 550), Erdoğan non ha fatto quel pieno di consensi che gli avrebbe permesso di conservare la maggioranza assoluta dei seggi in Parlamento. Non sarà così possibile per Erdoğan realizzare il suo piano di riforma costituzionale per imprimere alla Turchia quella svolta presidenzialista che da più parti è stata bollata come il tentativo di dare vita a una dittatura. Dopo 13 anni al governo, l’Akp sarà anzi costretto a formare un governo di coalizione: “una possibilità molto remota – spiega il giornalista Giuseppe Acconcia del Manifesto – lo stesso Akp ha fatto trapelare che l’unica opzione in questo contesto sarebbero le elezioni anticipate“.
L’insuccesso di Erdoğan frena la sua stretta autoritaria
L’insuccesso di Erdoğan, secondo Acconcia, sconta vari fattori: “in primo luogo la stagnazione economica che ha colpito il paese. C’è poi quello che potremo chiamare effetto Rojava – prosegue il giornalista – il fatto che i curdi si sono visti abbandonati a loro stessi nell’autunno scorso, quando lo Stato islamico stava attaccando il confine tra Siria e Turchia e il governo turco e l’esercito hanno deciso di non fare nulla per fermare l’avanzata jihadista”. Senza dimenticare la stretta sempre più autoritaria impressa dall’Akp e da Erdoğan nei confronti delle opposizioni e della stampa, come dimostra la recente vicenda che ha visto coinvolto il giornale laico Cumhuriyet e il suo direttore Can Dundar, denunciati e intimiditi da Erdoğan per la pubblicazione di un video in cui si vede l’intelligence turca scortare un convoglio di armi diretto alle forze islamiste attive nel conflitto siriano.
Ma l’elemento più significativo di queste elezioni, a fianco della perdita di consensi del presidente, è indubbiamente il risultato ottenuto dal Partito democratico dei popoli (Hdp), la formazione di sinistra filo-curda che con circa il 13% dei voti è riuscito a conquistare 80 seggi, entrando per la prima volta in Parlamento. “È un grande successo per i curdi – sottolinea Acconcia – è un giorno storico per il processo di pace in Turchia tra governo e partiti filo-curdi che si sono compattati attorno all’Hdp. Tantissimi curdi hanno sostenuto questo partito, molto complesso e variegato, che potremmo definire di una sinistra post moderna, perche unisce ong, partiti di sinistra, comunità lgbt, ex sostenitori delle proteste del Gezi Park, tutto questo insieme per un futuro di pace per la Turchia e per un più forte processo di pace tra turchi e curdi. Lo stesso Giuseppe Acconcia, in collegamento da Diyarbakir (nel Kurdistan turco), ci dà testimonianza dei festeggiamenti: “Oggi è la giornata dei fuochi d’artificio e dei caroselli, la gente festeggia perché è un momento di grande vittoria per le aspirazioni del popolo curdo“.
Una festa rovinata dalle violenze che hanno insanguinato le ultime settimane di campagna elettorale. Fino a venerdì scorso, quando due bombe sono esplose durante un comizio del leader dell’Hdp Selahattin Demirtas, a Diyarbakir. “Prima è scoppiata una bomba a pochi metri dal palco – fa sapere Acconcia – Quando la folla è iniziata a defluire sono iniziate le cariche della polizia con lacrimogeni e idranti che hanno spostato la gente dal palco verso l’esterno, e proprio in quel momento è scoppiata una seconda bomba, che ha provocato 4 morti e 350 feriti (di cui circa un quarto molto gravi). Da lì si è respirata una grande tensione – prosegue il corrispondente del Manifesto – sono andati avanti i black out notturni, e tutto questo faceva presagire una grande tensione per la giornata delle elezioni. In realtà non si sono registrati scontri gravi, le elezioni si svolte senza problemi con una grande partecipazione, anche femminile“.