Tre quarti degli impianti di trivellazione nell’Adriatico sforano i livelli di legge sull’inquinamento, eppure non viene loro revocata la licenza. Lo denuncia un rapporto Greenpeace su dati dello stesso Ministero. Il 17 aprile il referendum contro le trivelle.

La notizia dovrebbe preoccupare non solo gli ambientalisti, ma anche tutti noi, che ci nutriamo dei frutti del mare italiano. Tre impianti di trivellazione su quattro presenti nel mare Adriatico eccedono i limiti di inquinamento previsti dalla legge. E per giunta sembrano liberi di farlo indisturbati, dal momento che le autorità italiane non hanno sanzionato lo sforamento, né ritirato le licenze.

A denunciarlo, a poco più di un mese dal referendum nazionale contro le trivelle, è Greenpeace, che ha pubblicato un rapporto – intitolato “Trivelle fuorilegge” – che contiene dati dello stesso Ministero.
“Dei 120 impianti presenti in Italia – osserva Andrea Boraschi, responsabile campagna Energia e Clima di Greenpeace Italia – il Ministero ci ha fornito i dati relativi solo a 34 di queste strutture“. L’associazione ambientalista, dunque, sta cercando di capire se si tratta di una reticenza e un ostacolo che il governo vuole porre o, ancor peggio, se nemmeno lo Stato sia a conoscenza di quanto accade nei propri mari.

I dati elaborati da Greenpeace mostrano una contaminazione ben oltre i limiti previsti dalla legge per almeno una sostanza chimica pericolosa nei tre quarti dei sedimenti marini vicini alle piattaforme (76% nel 2012, 73,5% nel 2013 e 79% nel 2014). Ancor più: i parametri ambientali sono oltre i limiti per almeno due sostanze nel 67% dei campioni analizzati nel 2012, nel 71% nel 2013 e nel 67% nel 2014. Anche nelle cozze, utilizzate come un biomarket per la loro caratteristica di trattenere le sostanze presenti nel mare, la presenza di sostanze inquinanti ha mostrato evidenti criticità.

Ancor più nello specifico, ci sono contaminazioni preoccupanti da idrocarburi policiclici aromatici e metalli pesanti: sostanze in grado di risalire la catena alimentare fino a raggiungere gli esseri umani. Nei pressi delle piattaforme monitorate si trovano abitualmente sostanze associate a numerose patologie gravi, tra cui il cancro, osserva Greenpeace.

Altra evidenza riguarda la ciclicità. La situazione si ripete di anno in anno ma ciò nonostante non risulta che siano state ritirate licenze, revocate concessioni o che il Ministero abbia preso altre iniziative per tutelare i nostri mari.
Secondo Greenpeace, dunque, ciò rappresenta un argomento ulteriore per recarsi a votare il prossimo 17 aprile, in modo da mandare un messaggio chiaro al governo contro le trivelle.