Sul tema delle trivellazioni il governo italiano continua ad essere ambiguo. Da un lato blocca le attività entro le 12 miglia marine, dall’altro rinnova le licenze per la ricerca di idrocarburi al largo dell’Adriatico. Legambiente chiede una moratoria per tutte le attività petrolifere e invita il governo ad abbandonare le fonti fossili. Domani, intanto, la Corte Costituzionale si esprime sui referendum anti-trivelle.
Trivellazioni: il governo butta fumo negli occhi?
Nella legge di Stabilità c’è una norma su cui molti presidenti di Regione di area Pd hanno lavorato: il divieto di trivellazioni entro 12 miglia dalle coste. Ventiquattro ore prima dell’approvazione di questa legge, però, un decreto del governo, emesso dal Ministero per lo Sviluppo economico, ha concesso la licenza alla ricerca petrolifera nell’area al largo delle isole Tremiti alla multinazionale irlandese Petroceltic.
Denunciato da Angelo Bonelli, il fatto ha scatenato una forte polemica. Il Presidente della regione Puglia, Michele Emiliano, ha annunciato che ricorrerà al Tar o alla Corte Costituzionale. Dura anche la posizione del capogruppo alla Regione del Movimento Schittulli-Area Popolare, Giannicola De Leonardis, che ricorda anche il dato economico: “Appena 1.900 euro all’anno da versare per il via libera alla – improbabile – ricerca di idrocarburi in una delle oasi marine più incantevoli d’Italia”.
Il ministro per lo Sviluppo economico, Federica Guidi, difende il decreto sostenendo che non è stato dato via libera alle trivellazioni, ma a “prospezioni geofisiche”, che non prevedono alcuna perforazione. Una posizione difensiva che non considera, però, le polemiche sulle tecniche di ricerca utilizzate, in particolare la famigerata Airgun, che provoca danni all’ecosistema marino e all’economia, rendendo meno pescose le zone dove viene praticata.
Eppure il governo ha dalla sua la formalità della legge: l’area su cui è stata concessa la licenza a Petroceltic, la costa tra Vasto, Termoli e Tremiti, dista 13,4 miglia marine dal litorale e dalle isole. I limiti sarebbero, quindi, rispettati.
Per il tema delle trivellazioni, dunque, il 2016 si è riaperto con le stesse polemiche che hanno contraddistinto l’anno precedente: l’ambiguità del governo sulla politica energetica adottata.
Sebbene formalmente l’Italia abbia firmato il documento di Cop21, la conferenza sul clima che si è svolta a Parigi il mese scorso, il nostro Paese sembra ancora voler puntare sulle fonti fossili.
“Con la legge di Stabilità sembrava che il governo avesse deciso di cambiare direzione – osserva Giorgio Zampetti, coordinatore scientifico di Legambiente – Di fronte a questa ambiguità chiediamo una moratoria che blocchi qualsiasi autorizzazione relativa alle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi e il definitivo abbandono dei piani basati sulle fonti fossili”.
Al momento, infatti, sono oltre 127mila i kilometri quadrati di mare in cui 13 compagnie petrolifere, di cui 6 italiane e 7 straniere, intendono avviare attività di ricerca e prospezione per fini petroliferi.
Una questione che è diventata anche legale, con la richiesta di referendum elaborata dai movimenti ambientalisti e recepita da alcune regioni. Domani, 13 gennaio, la Corte Costituzionale si pronuncerà su quesiti referendari ancora in forse. In particolare, la Cassazione ha riammesso il quesito referendario sul divieto delle attività petrolifere entro le dodici miglia e quindi la questione relativa al mare rimane aperta. Secondo la sentenza della Corte l’emendamento del Governo alla legge di stabilità ripristina il divieto, ma lascia ancora aperte alcune questioni determinanti.
Anna Cesari