Era il 23 maggio 1992 quando a Capaci, in provincia di Palermo, un clamoroso attentato uccise il magistrato antimafia Giovanni Falcone, insieme alla moglie Francesca Morvillo e agli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Dell’esplosivo piazzato in un cunicolo di scolo dell’acqua piovana, che attraversava l’autostrada da un lato all’altro, provocò una deflagrazione che investì le auto su cui viaggiavano le vittime.
Appena 57 giorni dopo, il 19 luglio del 1992, un’altra strage e un altro magistrato morto: Paolo Borsellino, che perse la vita insieme a cinque agenti della scorta, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.

A trent’anni da quei fatti, un podcast del giornalista Giuseppe Pipitone, prodotto dal Fatto Quotidiano, torna a quei momenti, per una ricostruzione destinata sopratutto a chi in quegli anni non era ancora nato o era troppo piccolo, ma anche perché quella vicenda non può considerarsi chiusa.
Mattanza” è il titolo del podcast in otto puntate, ospitato sul sito del giornale, ma anche sulle principali piattaforme di podcast attive in Italia. E nella sua presentazione si legge: “Trent’anni dopo su Capaci e via d’Amelio crediamo di sapere tutto: esecutori, mandanti e moventi. Ma è davvero così? Tutti i misteri irrisolti degli attentati a Falcone e Borsellino. Quando la storia d’Italia è cambiata per sempre”.

Stragi di mafia, per la “Mattanza” non sappiamo ancora tutto

Ai nostri microfoni Pipitone spiega perché ha voluto occuparsi di quei fatti a trent’anni di distanza. «Quegli anni sono una parte fondamentale per quello che succede dopo – osserva il giornalista – Sono una stagione cerniera tra la prima e la seconda repubblica. Inoltre per molto tempo si è considerato quel periodo come esaurito. In realtà il problema è che trent’anni dopo, da qualsiasi punto di vista di risolto c’è poco o nulla».
Dal punto di vista giudiziario, ad esempio, sulle stragi di mafia non sappiamo ancora molte cose, ma anche dal punto di vista politico non si può archiviare quella stagione. «Basti pensare – sottolinea Pipitone – che alle elezioni di Palermo alcuni candidati favoriti sono appoggiati o in certi casi espressione diretta di personaggi condannati in via definitiva per gravi reati di tipo mafioso».

Della strage di Capaci e di quella di via D’Amelio, dunque, non sappiamo molte cose a partire, secondo l’autore del podcast, dal reale movente. Nel caso di Falcone si è parlato di vendetta della mafia contro il nemico numero uno, ma non si è mai capito perché Falcone fu ucciso a Palermo, in modo così plateale, quando era molto più raggiungibile a Roma, dove a volte girava senza scorta.
«Riina invia a Roma un commando guidato da Messina Denaro e Graviano – ricorda Pipitone – ma dopo pochi giorni cambia idea e richiama tutti alla base perché, dice, “in Sicilia abbiamo trovato cose più grosse». Il giornalista di cronaca giudiziaria rimarca che non si è mai capito quali fossero quelle cose grosse e chi fossero le persone importanti con cui Riina aveva parlato.

Ma c’è anche un altro episodio che può essere portato come esempio. Dopo la morte di Falcone, qualcuno si introdusse nel suo ufficio al Ministero di Grazia e Giustizia e manomise le agende elettroniche che il magistrato aveva sul suo computer, cancellando molti degli appuntamenti che lo stesse Falcone aveva fissato nei giorni seguenti alla strage. Anche in questo caso la domanda riguarda chi sia stato e soprattutto perché quegli appuntamenti furono cancellati se davvero il movente dell’uccisione del magistrato era la sola vendetta.

Nelle otto puntate di “Mattanza” è possibile ascoltare diverse voci. Come quella di Giovanni Papacuri, autista del magistrato Rocco Chinnici che aveva “scoperto” Falcone e Borsellino e che verrà ucciso nel 1983. Papacuri, sopravvissuto all’attentato, anni dopo diventerà l’esperto informativo del pool antimafia e seguirà il maxiprocesso contro Cosa Nostra praticamente dalla stanza di fronte a quella di Falcone.
Anche Angelo Corbo e Antonio Vullo, agenti sopravvissuti rispettivamente alla strage di Capaci e di via D’Amelio sono stati intervistati nel podcast, così come Maria Falcone e Salvatore Borsellino.
Ma nell’inchiesta audio trovano spazio anche le ricostruzioni e le testimonianze che furono fatte dagli autori delle stragi, pentiti o meno, come Graviano o Brusca.

Ma a trent’anni dalle stragi di mafia, qual è lo stato di “salute” della criminalità organizzata? «È avvenuta una sorta di fusione del livello finanziario e imprenditoriale delle cosche all’interno degli apparati dello Stato e probabilmente anche all’interno delle multinazionali – risponde Pipitone – Da una parte si è decimata la mafia militare, ma è stata “ingobbata” la mafia “economista”. Ciononostante ci sono ancora alcuni debiti da pagare alla mafia militare ed è per questo che ciclicamente vengono fatte campagne contro il 41 bis, l’ergastolo ostativo o per fare avere permessi premio fuori dal carcere ai mafiosi».

ASCOLTA L’INTERVISTA A GIUSEPPE PIPITONE: