Era il 15 aprile 2011 quando il giornalista e attivista Vittorio Arrigoni veniva rapito e ucciso da un gruppo jihadista salafita in Palestina. Una morte ingiusta per una persona che, grazie al suo lavoro e al suo attivismo, aveva riportato al centro dell’attenzione la causa del popolo palestinese e le angherie che esso subiva (e purtroppo subisce anche oggi) da parte delle autorità israeliane.
«Restiamo umani» era il motto con cui Arrigoni concludeva ogni sua corrispondenza dalla Gaza assediata durante l’operazione “Piombo fuso”, unico giornalista internazionale a raccontare quanto accadeva.

A tredici anni dalla sua morte, cos’è rimasto del pensiero di Vittorio Arrigoni? Guardando il massacro a Gaza perpetrato dall’esercito israeliano e al blocco degli aiuti umanitari per la popolazione addensata nella Striscia, cos’è rimasto dell’umanità evocata da Vik?
Domande che abbiamo rivolto ad Anna Maria Selini, giornalista e autrice del libro “Vittorio Arrigoni. Ritratto di un utopista” (Castelvecchi editore, 2019).

Vittorio Arrigoni e la sua Gaza martoriata, «Il “restiamo umani” nelle piazze»

Il parallelo tra l’operazione “Piombo fuso” del 2008 e 2009 e l’assedio di Gaza odierno è abbastanza importante. «Anche all’epoca ai giornalisti stranieri fu impedito di entrare nella Striscia – ricorda Selini – e anche all’epoca abbiamo saputo cosa è successo grazie ai giornalisti palestinesi. L’operato di Vittorio fu importante, grazie alle corrispondenze sul Manifesto e al suo blog Guerrilla Radio».
A differenza della precedente operazione israeliana su Gaza, però, oggi i giornalisti sono diventati esplicitamente dei target, al punto che sono già più di 140 quelli uccisi dal 7 ottobre ad oggi.

«Il loro lavoro è ancora più difficile a causa dei blackout non casuali – sottolinea la giornalista – e per il fatto che da alcuni anni Meta ha stretto un accordo con Israele per la censura dei contenuti palestinesi».
Selini ricorda che Arrigoni non era un giornalista, ma un operatore umanitario. Tuttavia fece quello di cui c’era bisogno in quel momento, come nella sua indole, trasformandosi di fatto in un giornalista per mostrare al mondo cosa stava accadendo.

Cosa rimane oggi del suo “restiamo umani”? «È una domanda difficile – sottolinea la giornalista – Proprio in questi giorni mi chiedevo cosa avrebbe fatto Vittorio oggi e probabilmente avrebbe cercato di entrare in tutti i modi a Gaza, anche se è sigillata, o comunque avrebbe cercato di fare di più di quello che facciamo noi».
Vik diceva che bisogna restare umani proprio nei momenti peggiori, quando ogni speranza sembra perduta. «Oggi a restare umani, a volere la pace, si è quasi eversivi», sottolinea Selini.

Per la giornalista, però, forse l’umanità evocata da Arrigoni la ritroviamo nell’opinione pubblica, nei movimenti globali che continuano a scendere in piazza e protestare contro la violazione dei diritti umani dei palestinesi, o nei Paesi come Spagna, Irlanda, Belgio e Norvegia che hanno fatto sapere di voler esprimersi per la nascita di uno Stato palestinese.
«In un certo senso questo è un restare umani», conclude Selini.

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