Mentre questa sera apre i battenti  il Bologna Jazz Festival, qui a Cormons il cantiere musicale di Jazz & Wine of Peace è in corso ormai da giorni. Noi abbiamo intercettato questi lavori in corso ieri pomeriggio nella settecentesca  Villa Nachini Cabassi per il duo con Theo Ceccaldi al violino e Edward Perraud alla batteria. Il set si are con una melodia malinconica sussurrata dalle corde del violino e subito si accende l’intesa tra i due musicisti, dove è sempre Theo che dà il -la- alle diverse sequenze musicali che Perraud colora con le mille sfaccettature della sua ritmica.

Ceccaldi mostra fino in fondo la sua impostazione classica dello strumento, ma altrettanto insegue diverse atmosfere di differenti sounds. Sicuramente è potente la vocazione rock di certi crescendi iterativi (d’altra parte il rock ha in comune con la tradizione classica la drammaticità e lo sturm und drang), ma, utilizzando abbondantemente il pizzicato del violino, introduce anche vibrazioni caraibiche con cadenze da calipso o situazioni minimalistiche tutte giocate su infinitesimali variazioni sul tema.

Un concerto leggibile, lontano dalla cripticità di certe esperienze da duo, che riempie di energia la sala e che trova un folto pubblico rispondere calorosamente con mille applausi convinti.

John McLaughlin

La sera ci spostiamo nel teatro di Cormons per ritrovare un eroe della chitarra fusion: John McLaughlin e la sua ultima formazione della “Quarta Dimensione”. E un set di pieno revival di quella stagione di jazz rock che fece mitica la Mahavishnu Orchestra del chitarrista. Archiviata per il momento dal musicista inglese lo spazio orientale della vecchia band Shakti, si ritorna dunque ai primi amori della fusion. I brani scorrono sottolineati dagli assoli della chitarra in ottimo dialogo continuo con il basso elettrico di Etienne Mboppè (occhiali scuri e mani guantati di nero alla pari delle vecchie Black Panthers…). I pezzi presentati in sequenza rievocano situazioni alla Deep Purple o atmosfere alla Traffic ed arriva persino un brano sognante alla Pink Floyd. Davvero un tuffo negli anni più verdi. Peccato l’insufficiente accompagnamento della batteria e del piano elettrico, che certo non ha aggiunto nulla di buono al set se non un’imprecisione d’insieme che ha sfrangiato l’intero sound: un lungo e sonnolento assolo di batteria che ripeteva sempre gli stessi passaggi ed un suono della tastiera elettronica che, al di là di rievocare una timbrica tipica degli anni’70, presentava degli assoli alla Hit Organ. Forse alla serata negativa del tastierista ha contribuito il curioso incidente del crollo a terra del suo strumento uscito dal suo sostegno e la faticosa rimessa in essere della sua postazione musicale, anche se qualcuno tra il pubblico avrà malignamente pensato ad un sabotaggio criminale di un buongustaio della musica. Tra luci ed ombre il set arriva alla conclusione con l’inevitabile bis che non si nega a nessuno.

Comunque la formula del festival itinerante tra diverse affascinanti locations, vini di ottima qualità e tanto jazz a 360 gradi conferma l’intelligenza di una formula vincente, tanto più se aiutata da un autunno che sembra primavera.