Lo scrittore irlandese Karl Parkinson nel suo romanzo d’esordio “The Blocks. I ragazzi degli O’Devaney Gardens”, edito da Battaglia edizioni, racconta un’Irlanda diversa da come siamo abituati a pensarla: niente verdi colline, niente patriottismo contro la Gran Bretagna ne suonate della tradizione musicale irlandese. Troviamo invece risse, tossicodipendenze, disoccupazione, vite distrutte e speranze frantumate dalla povertà e da una geografia sociale simbolica che limita molto più di barriere reali.

Il romanzo che esce dai “blocks” di Dublino per raccontare la vita del sottoproletariato

Il romanzo è ambientato nell’Irlanda degli anni 90, più precisamente nella Inner City di Dublino, tra i palazzi degli O’Devaney Gardens, dove lo stesso Karl è cresciuto. I “blocks”, i grandi palazzoni periferici ormai demoliti, diventano un ghetto a cielo aperto dove si svolge la vita difficile di Kenny e dei suoi amici, eroi della lotta quotidiana e della sopravvivenza.

Kenny, il protagonista del libro, narra la sua infanzia difficile trascorsa tra l’assenza del padre e la separazione dei genitori, tra droghe e risse. Seguono i primi innamoramenti, le prime grandi amicizie e la caduta di molti: dal tunnel della tossicodipendenza, allo spaccio, alla galera, fino alla morte. Dalla morte delle periferie riesca a far breccia una possibilità di redenzione, infatti Kenny è uno “spoken poet”, una sorta di poeta di strada che racconta in questo modo la sua difficile vita e sognandone una diversa, lontana dagli O’Devaney Gardens. Il romanzo infatti è scritto con una mescolanza di vari generi tra prosa e poesia.

È la storia del tentativo disperato per Kenny e i suoi amici di liberarsi dalla sofferenza esistenziale che li accomuna. Il romanzo denso disegna un affresco di vita proletaria ai bordi del capitalismo.
Jacopo Frey, redattore della trasmissione storica Vanloon di Radio Città Fujiko, ha chiesto a Karl Parkinson, chi è in realtà il protagonista di “The blocks” e com’è la vita dei ragazzi della periferia di Dublino: «il protagonista sono io, anzi il mio alterego. […] Crescere lì, è stato duro ma anche divertente».
Quella di Karl è una quindi una narrazione fatta da chi in quei luoghi ci ha vissuto davvero, o come la definisce Beatrice Masi, traduttrice del libro, una “letteratura working class”. Chiedendo all’autore cosa significhi per lui essere uno scrittore working class, lui risponde dicendo di sentire «una grande responsabilità, in quanto non molte persone che vengono dalla working class scrivono romanzi […] e inoltre c’è la responsabilità di rappresentare la realtà sottoproletaria per quello che è, e conservarla man mano che questa realtà scompare».

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