Il settore culturale era appena tornato a respirare potendo aprire nuovamente le sale al massimo della capienza, nonostante la confusione delle linee guida, e invece in uno dei periodi più cruciali per la sopravvivenza del settore, quello natalizio, arriva l’indiscrezione di nuove misure di sicurezza che porterebbero un danno incalcolabile, quasi fatale, per il mondo del teatro, del cinema e dello spettacolo tutto.
L’obbligo dei tamponi, una condanna per il settore dello spettacolo
In questo momento le notizie sono ancora vaghe e ufficiose, si parla della possibilità di rendere obbligatorio il tampone per accedere alle sale nonostante le vaccinazioni e il super green pass, cosa che porta grande agitazione tra i lavoratori e le lavoratrici dello spettacolo. «Siamo sempre stati messi in secondo piano, e forse anche noi ci siamo sempre sentiti marginali all’interno della vita di questo Paese, ma questa nuova misura sarebbe una condanna» racconta ai nostri microfoni Nicola Borghesi, attore, regista e direttore artistico di Kepler 452.
Tante sono le associazione dello spettacolo, da Agis ad Assomusica, che per evitare l’ufficializzazione da parte del governo, hanno firmato una lettera destinata al Presidente del Consiglio Mario Draghi in cui evidenziano quanto questa scelta porterebbe danni incalcolabili. Una misura preventiva eccessiva e ingiustificata in un settore in cui, come si legge nella lettera, «il distanziamento è garantito da sedute inamovibili e da una gestione del pubblico fortemente controllata, come previsto dalle Linee Guida della Conferenza delle Regioni. Aggiungere a ciò l’obbligo di un tampone, comporterebbe un fortissimo disincentivo alla partecipazione ed indebolirebbe lo strumento molto efficace del super green pass».
La critica a questa misura è dura e decisa, Nicola Borghesi è particolarmente netto sulla sua posizione come ha dimostrato in un post sui suoi social e ai nostri microfoni, «è un modo farlocco per chiudere le sale senza farlo davvero. Una mossa ipocrita per un paese in cui non si è mai diffusa la cultura del testing, se si ampliasse in maniera cosciente e gratuita l’attività di tamponamento saremmo d’accordo, ma in questo modo si rende la cultura un bene di lusso e si attacca un settore che non sarà più in grado di recuperare».
Questa decisione, qualora diventasse realtà, abbandonerebbe i lavoratori e le lavoratrici dello spettacolo a loro stessi, senza ristori né sostegno, confermando ancora una volta l’idea, tristemente condivisa in Italia, che la cultura possa essere un optional. Una considerazione che ormai si è instaurata nei lavoratori stessi, che hanno sempre sperato troppo mestamente di essere risparmiati, e che invece adesso sono pronti a reagire in maniera netta per salvaguardare l’anima culturale del nostro paese.
Non possiamo che sperare che questa misura innegabilmente eccessiva, noncurante e classista, non venga mai resa ufficiale e che teatri, cinema e concerti ritornino ad animare le nostre città.
Max Americo Lippolis
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