NOTA DEL DIRETTORE
La dirigente scolastica del liceo Copernico e due dei tre studenti coinvolti nella vicenda hanno smentito la ricostruzione di quanto avvenuto durante l’occupazione della scuola e contenuta in questo articolo, basato su un’intervista ad un terzo studente.

Il Direttore
Alessandro Canella

Anche lo studente che ci ha rilasciato l’intervista su quanto accaduto al liceo Copernico durante l’occupazione torna su quei momenti in una lettera che ci ha inviato. In particolare, avendo letto la trasposizione scritta della propria testimonianza e avendone riascoltato l’audio si è reso conto di essersi espresso male e di aver riportato in modo confuso alcuni dettagli salienti degli incontri avuti con la dirigente scolastica e alcuni agenti delle forze dell’ordine.
In particolare, gli studenti non sarebbero stati trattenuti in una stanza per molte ore di seguito, ma i confronti con la dirigente scolastica prima e alla presenza delle forze dell’ordine in seguito sarebbero avvenuti in diversi momenti della giornata. Quanto ai cellulari, sarebbe stato effettivamente chiesto ai ragazzi di non registrare, ma non sarebbe avvenuta una loro requisizione. Ai ragazzi sarebbe stato semplicemente chiesto di posare i telefonini sul tavolo.
Quanto ai toni utilizzati dalle forze dell’ordine, lo studente sostiene di essere stato condizionato dalla situazione anomala – la presenza di agenti nella scuola – e dal proprio stato d’animo di agitazione nel riportarli nella testimonianza rilasciataci.
Anche per ciò che concerne la chiusura di porte o lo spegnimento del riscaldamento, il ragazzo osserva di aver frainteso alcuni dettagli, poiché non sono state chiuse a chiave le porte, che per ragioni di sicurezza non possono essere bloccate, e il riscaldamento della palestra non è stato spento per ragioni ritorsive, ma per lo spegnimento automatico dell’impianto.
Infine, per ciò che concerne le verifiche e le interrogazioni avvenute nei giorni e nelle settimane successive all’occupazione, è effettivamente stata svolta una verifica sulle ragioni stesse dell’occupazione e interrogazioni a sorpresa, ma il carattere punitivo delle stesse riguarda solo una sensazione e una preoccupazione avuta dal ragazzo.

Tre minorenni per ore e ore in una stanza a negoziare i termini della protesta in corso nel loro Istituto. Con loro la presidenza e cinque agenti in borghese. Il clima è rovente: i loro telefoni sono sul tavolo per ordine della polizia («ci han detto che non volevano registrassimo” spiegano gli studenti), le ore passano tra momenti di relativa calma e picchi di tensione fatti di urla e pugni sul tavolo («mi avete rotto il cazzo» avrebbe gridato uno degli agenti). Nell’ufficio di presidenza si arriva alle lacrime, ma le richieste di una pausa da questo colloquio vengono accolte con sarcasmo («volete fare pausa? anche noi siamo stanchi quanto voi»).

Sono i racconti che arrivano dal Liceo Scientifico Copernico di Bologna. Lì il 24 gennaio gli studenti hanno occupato l’Istituto, sull’onda di quanto già avvenuto in altre scuole della città. «Alcuni di noi hanno visto l’occupazione del Rosa Luxemburg di qualche settimana prima, e ci siamo ispirati a loro. Volevamo un momento per riappropiarci dei nostri spazi, fare formazione, socialità – che dopo due anni di pandemia è fondamentale». Un copione già visto per chi conosce il mondo della scuola: da decenni occupazioni e autogestioni fanno parte dei rituali dell’istruzione italiana, e si risolvono nella grande maggioranza dei casi in un compromesso tra gli studenti e l’istituzione scolastica. Al Copernico, però, lo scontro tra le diversi componenti della comunità scolastica sembra essersi acuito ben oltre la normale dinamica delle proteste studentesche.

Scuole occupate: al Copernico preside e polizia trattengono per ore tre minorenni

L’occupazione non inizia nel migliore dei modi. I rappresentanti eletti degli studenti non approvano l’iniziativa, e per ore si confrontano con i ragazzi e le ragazze che invece l’occupazione la volevano. «La situazione era molto tesa anche tra noi studenti» ci dicono alcuni dei ragazzi che hanno organizzato l’occupazione «ma nel corso della mattinata, col dialogo, abbiamo trovato un punto d’incontro e ci siamo riappacificati con i rappresentanti. E’ stato un momento molto bello». La stessa ritrovata concordia, però, non si raggiunge con la presidenza dell’Istituto, guidato dalla Dottoressa Fernanda Vaccari.

«Siamo stati nell’ufficio della preside dalle dieci della mattina fino alle sei di sera, con solo una breve pausa in mezzo» è il racconto dei ragazzi. Nella stanza rimangono per buona parte della giornata, oltre ai tre minorenni individuati come organizzatori della protesta, la dirigente scolastica e cinque agenti in borghese. «In un paio di occasioni durante quelle ore siamo stati lasciati soli con la polizia» continuano i ragazzi «e loro diventavano ancora più aggressivi, ci urlavano di smettere di rompere i coglioni, sbattevano i pugni sul tavolo con violenza». Due dei tre ragazzi – uno di loro ha solo quindici anni – a quel punto cedono alla tensione. «Non capiamo il perché di tutta questa violenza» ci dicono gli studenti. «Alla quinta ora in quella stanza avevo le lacrime agli occhi, non ce la facevo più, ho chiesto di uscire» spiega uno degli studenti coinvolti «volevo avvertire mia madre, i nostri telefoni erano stati messi sul tavolo dalla polizia per evitare che registrassimo quanto succedeva».

Alla fine della giornata si decide di lasciare agli occupanti uno dei cinque poli dell’Istituto, quello della palestra, e permettere che chi preferisse fare lezione possa frequentare regolarmente nel resto della scuola. «L’accordo era quello di lasciarci questa parte dell’edificio e di farci portare avanti la protesta fino al giovedì, ma in tutti i modi i patti non sono stati rispettati – i professori hanno minacciato bocciature, la polizia ogni mattina si faceva trovare all’ingresso prendendo in giro chi entrava all’occupazione, sono arrivati persino a chiuderci le porte e tagliare il riscaldamento. Io ho visto le occupazioni del Laura Bassi e del Rosa Luxemburg, e là il dialogo con la presidenza e i docenti c’è sempre stato: solo da noi si è trasformato in una guerra».

Il mercoledì, 26 gennaio, l’occupazione ha avuto fine. Ma il clima al Liceo Copernico rimane incandescente, almeno stando ai racconti degli studenti sentiti da Radio Città Fujiko. «Ci sono state verifiche punitive nelle classi che han partecipato all’occupazione».

Dall’inizio dell’anno decine di scuole in tutta Italia sono state occupate. Un fenomeno cresciuto con l’ondata d’indignazione per la morte di Lorenzo e Giuseppe, i due studenti uccisi da incidenti nel loro percorso di stage scolastico. Alcuni dirigenti, come già avvenuto a Roma, hanno scelto la linea dura. Altri hanno preferito la mediazione – come la preside del liceo torinese che, pur in disaccorso con gli occupanti, ha dormito per tre notti nella scuola con loro per proteggerli e trovare un punto d’incontro. Al Liceo Copernico è stata scelta la prima strada.

La voce dei ragazzi intervistati tradisce l’emozione. Gli chiediamo come si sentano. «Io provo tanta rabbia, ma sopratutto delusione. Qualche giorno fa io e miei compagni abbiamo provato a parlarne con la nostra coordinatrice di classe – non era uno scontro, era un discorso fatto col cuore di mano, sei di noi sono nuovamente scoppiati in lacrime. Ma lei ci ha riso in faccia, è stato un momento orribile. La scuola dovrebbe insegnarci lo spirito critico, l’attivismo. E’ questa la democrazia, no?».

Lorenzo Tecleme