L’Ong ha manifestato a Napoli per sensibilizzare gli italiani in vista del referendum. Intanto Eni avrebbe denunciato Greenpeace per un’azione dimostrativa presso una piattaforma al largo di Marina di Ravenna. Siti “abbandonati” e “senza controllo”, testimonia il direttore delle campagne Alessandro Giannì.
Ieri i ‘climber’ di Greenpeace hanno scalato la Galleria Umberto I di Napoli e hanno appeso uno striscione di 150 metri che raffigurava la Deepwater Horizon, la piattaforma che deve la sua notorietà all’incidente del 20 aprile 2010 quando, durante le fasi finali della realizzazione di un pozzo nelle acque profonde del Golfo del Messico, fu oggetto di un’esplosione che causò un incendio e la fuoriuscita di un’immensa quantità di idrocarburi dal fondale marino. Sullo striscione, infatti, campeggiava la scritta “mai più!”.
“A Napoli noi abbiamo aperto uno striscione per sensibilizzare non solo la popolazione di una città importante per l’Italia, ma tutti i cittadini italiani sui temi del referendum – ha detto ai nostri microfoni Alessandro Giannì, direttore delle campagne di Greenpeace Italia – Il primo referendum oggetto di una specifica campagna per l’astensione”. Aggiunge a tal proposito Giannì: “Noi riteniamo che sia un fatto comunque pericoloso per la democrazia del nostro Paese, soprattutto perché c’era e per fortuna c’è stata l’occasione di parlare di un tema importante come l’energia e la tutela dell’ambiente”.
Intanto, l’Eni avrebbe presentato un esposto alla Procura di Ravenna contro gli attivisti di Greenpeace che il 30 marzo scorso manifestarono presso la piattaforma Agostino B, al largo di Marina di Ravenna. “Non abbiamo ricevuto nulla e a quanto ci riferiscono i nostri legali per il momento non riceveremo nulla” precisa però Giannì.
Tuttavia, se proprio c’è qualcosa da denunciare, riporta ancora Giannì, bisogna dire che, per quella che può essere l’esperienza delle squadre “addestrate” a tali azioni, le piattaforme dell’Eni “sono assolutamente abbandonate. Le vie d’accesso a queste piattaforme sono aperte”. E se, invece di pacifici, non violenti attivisti di Greenpeace ci fossero soggetti “malintenzionati” interessati a questi siti abbandonati in mezzo al mare, senza nessun controllo oltre che pericolosi?
Guglielmo Sano