L’annuncio è arrivato ieri dall’assessora comunale al Commercio, Luisa Guidone: tra i 16 progetti in deroga al regolamento Unesco per l’apertura di attività commerciali nel centro di Bologna ci sarà anche Starbucks, la multinazionale statunitense del food & beverage.
Per derogare al regolamento Unesco, le attività commerciali hanno dovuto presentare progetti che contenessero un valore aggiunto a favore della comunità e l’inclusione di Starbucks ha sollevato ironie e critiche sui social proprio per il fatto che si tratta di una multinazionale.

A Bologna arriva Starbucks grazie alla strategia della multinazionale adottata dal 2008

Chi studia le strategie di Starbucks, però, non è rimasto sorpreso dall’apparente contraddizione. Come può una catena di negozi multinazionale, presente in molti Paesi del mondo, avere un approccio votato alla comunità?
A rispondere a questa domanda è, ai nostri microfoni, Giorgia Aiello, docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi all’Università di Bologna, che studia proprio le strategie di Starbuck dal 2008, in particolare a Seattle, città di origine della multinazionale.

«Già dal 2008 Starbucks ha cominciato a ripensare una definizione della propria immagine – spiega Aiello – perché in seguito al 2008 si è trovata ad essere associata a Mac Donald’s quanto a standardizzazione eccessiva».
Una crisi, anche economica, che ha portato alla chiusura di diversi negozi negli Stati Uniti e che ha persuaso la multinazionale a cambiare approccio, a partire dal design dei negozi.
«Hanno creato dei prototipi di negozi unbranded – continua la docente – cioè dei negozi che non riportavano il marchio della multinazionale, ma prendevano il nome della via su cui si trovavano».

Accanto al nome, la nuova strategia prevedeva che in questi negozi fosse sperimentata l’associazione dell’immagine di Starbucks alla località stessa, ad esempio utilizzando materiali riciclati dai quartieri in cui si trovavano, proponendo cibo e bevande prodotti localmente.
«Questa strategia è stata poi implementata a livello globale – racconta Aiello – sia utilizzando un approccio più tattile nella definizione dei negozi standard, sia utilizzando un sistema di definizione dell’immagine sulla base della località, cercando di avere una connessione materiale alla loro ubicazione».

In altri termini, avviene un’appropriazione di palazzi anche storici di pregio che poi fungono da facciata per la loro ambientazione. Accanto a ciò, la multinazionale presenta una comunicazione e delle azioni collegate alla comunità stessa, cosa che ha permesso la deroga al regolamento Unesco a Bologna.
Un approccio sofisticato che ribalta il concetto di “glocal” formulato ai tempi del movimento No Global. Se il “glocal” di vent’anni fa era la sintesi del pensiero “pensare locale, agire globale”, Starbucks compie un ribaltamento, agendo localmente da una dimensione globale come quella di una multinazionale. «Però non si tratta di una semplice dichiarazione di contenuti locali per un formato globale – osserva Aiello – è proprio un tentativo di connettersi in maniera concreta alla località stessa».

ASCOLTA L’INTERVISTA A GIORGIA AIELLO: