Sono ormai quasi 50 le scuole che, solo a Roma, sono stati occupate dagli studenti negli ultimi due mesi. Un’ondata che non sembra voglia fermarsi, ma che anzi si stia espandendo: dopo l’istituto Rossellini, a Roma, si sono aggiunti gli studenti di Bologna, Milano, Torino e molte altre città in tutta Italia.

Il governo ignora le ragioni delle occupazioni delle scuole

Sono ormai più di 50 gli istituti che, solo a Roma, sono stati occupati dagli studenti negli ultimi due mesi. Una vera e propria ondata che non solo non sembra voglia fermarsi, ma anzi che si stia espandendo: dopo l’istituto Rossellini nella Capitale, che in un certo senso ha fatto da apripista, si son aggiunti studenti a Bologna, Milano, Torino e molte altre città in tutta Italia.

«Noi studenti -hanno scritto in una nota gli studenti del liceo linguistico Colonna di Roma – non vogliamo opporci alla nostra scuola in sé, ma alla scuola come istituzione in Italia, per questo, siamo a difesa del corpo docente, del personale Ata, della preside e di tutti i nostri diritti come studenti e studentesse che in questi anni sono stati infranti e calpestati da una gestione inadeguata della scuola, che, dopo la situazione sanitaria emergenziale, è risultata ancora più evidente».

L’orizzonte di senso delle occupazioni, sparse in tutto il territorio nazionale, è dunque condiviso: alimentate da questioni locali di gestione dei singoli istituti -come il riscaldamento al Rosa Luxemburg di Bologna– esprimono in realtà un dissenso diffuso fra tutti gli studenti: un’insoddisfazione e una frustrazione per la gestione della scuola, intesa in senso lato, che la rende insostenibile.

Le criticità sono spesso le stesse: pessime condizioni delle aule, dispersione scolastica, fondi per l’istruzione pubblica assenti dal Pnrr, e manovra economica inadeguata. Da questioni personali emergono quindi prospettive nazionali, e proprio per questo il fenomeno va interpretato in una prospettiva più ampia e non localista. Significativo in questo senso è sicuramente il “No Draghi Day” del 4 dicembre scorso, al quale gli studenti hanno partecipato attivamente.

Condivise sono non solo la modalità d’azione dell’occupazione e le ragioni che ne stanno all’origine, ma anche un modello organizzativo che abbia al centro i collettivi scolastici: è proprio all’interno di questi spazi di condivisione critica del sapere che si condensano spesso le visioni critiche degli studenti. Fondamentale è sicuramente però il ruolo di un collettivo specifico, che ha un’estensione nazionale: l’Osa, Opposizione Studentesca Alternativa, che fornisce sostegno e struttura organizzativa per le occupazioni.

Omogenea e dura è tuttavia la risposta delle istituzioni, che alla voce collettiva degli studenti non fanno altro che porre un muro: «io non mi sono messa a contrattare», ha affermato la dirigente Tiziana Sallusti, del liceo classico Mamiani, a Roma. E sulla stessa lunghezza d’onda è sicuramente il commento del sottosegretario all’istruzione Rossano Sasso: «Ci sono mille altri modi per confrontarsi e alimentare il dibattito, magari organizzando assemblee ed attività pomeridiane nei locali della scuola: questo sarebbe sicuramente molto più rivoluzionario visto quanto accaduto e considerato il periodo».

Una negazione del dialogo e del confronto che si esprime spesso anche in repressione ed interventi violenti delle forze dell’ordine: ora come ora l’unica risposta che ci è stata data da parte delle istituzioni è stata la repressione. Basta pensare che la ministra Lamorgese ha detto che bisogna fermare il ciclo di occupazioni, quindi repressione, forze dell’ordine all’interno delle scuole», ha affermato uno studente del Liceo Plauto, a Roma, dopo il recente fermo di due studenti.

Francesco Manera