I docenti precari fanno sentire la loro voce nel giorno in cui si conclude il ciclo Tfa (Tirocini formativi attivi). Abilitazione alla mano, dalle ore 15 va in scena un presidio di fronte al Provveditorato di Bologna, per chiedere conto di un futuro professionale che al momento appare come un grande punto interrogativo.

I precari della scuola hanno organizzato per questo pomeriggio un presidio davanti all’Ufficio scolastico regionale in via de’ Castagnoli. L’iniziativa dei docenti si inserisce nella lunga scia di proteste che hanno investito la riforma della “Buona scuola” del governo, in particolare per quanto riguarda il tema delle assunzioni. A manifestare il dissenso sotto gli uffici del Provveditorato sono soprattutto gli aspiranti professori abilitati Tfa, o tirocini formativi attivi, nel giorno in cui si conclude il II ciclo con gli orali di abilitazione, dopo un anno di selezioni, corsi e tirocini. “Dopo il TFA, sempre più precari. Uniti contro la ‘Buona scuola” è il messaggio del Coordinamento Precari, che lamentano una grossa incertezza per il futuro lavorativo. “Negli ultimi 4 anni – sottolineano gli insegnanti – ci sono stati tre cicli di abilitazioni (ordinari e straordinari), il cui valore è messo seriamente in discussione dai provvedimenti che ci escludono dal piano di assunzioni e contemporaneamente istituiscono albi territoriali, organico funzionale e classi di concorso “affini”, lasciandoci in balia della lotteria del concorsone, senza alcuna garanzia sul nostro futuro”.

“Questo tipo di problema lo vivono tutti i precari – scandisce Jacopo Frey – noi abilitati Tfa ma anche i Pas, il percorso di abilitazione previsto per insegnanti che avessero tre anni di servizio. Noi ci troviamo esclusi da tutte le ipotesi di assunzione previste da Renzi. Non esistono ancora notizie certe sul concorsone – sottolinea – c’è una grande rabbia perché abbiamo dovuto prendere una certificazione pubblica che non garantisce nulla“.

Certificazione che, oltre a non garantire alcuna certezza, è stata pagata dagli insegnanti al prezzo di 2.800 euro e che ha comportato seri disagi per coloro che lavorano per mantenersi. Ora i docenti vogliono chiarimenti sul valore di quel pezzo di carta pagato profumatamente all’Alma Mater e, soprattutto, chiedono certezze sul loro futuro, dal momento che la riforma della “Buona scuola” non ha fatto che accentuare “uno scenario strutturale di precarietà e ricattabilità: il Ddl, recentemente approvato a colpi di fiducia e nonostante una fortissima opposizione dei lavoratori della scuola, continua infatti, in linea con la riforma Gelmini, con una politica di tagli alle cattedre, diminuzione di finanziamenti pubblici ed elargizioni alle scuole private, che sovraccarica chi già lavora e impedisce a professionisti formati dallo Stato di esercitare la propria funzione”.