Orchestra e coro del Comunale Nouveau in agitazione per il rinnovo del contratto nazionale di categoria che non viene aggiornato da vent’anni. La prima del 24 novembre dell’Elisir D’Amore è stata penalizzata dalla mancanza del numero di orchestrali sufficienti per eseguire l’opera in maniera orchestrale sebbene le tre sigle principali avessero fatto rientrare l’agitazione parzialmente soddiisfatti dal pre accorrdo sul piatto. La segreteria provinciale della Fials, sindacato autonomo a cui aderiscono la maggior parte degli/delle orchestrali e parte dei/delle coristi/e, ha proseguito lo sciopero chiedendo maggiori garanzie sul rinnovo atteso da così lungo tempo. L’opera è andata in scena accompagnata solamente con il pianoforte e con un coro dimezzato. Il pubblico è stato invitato a ritornare a vedere le seguenti repliche, ospiti del teatro, per godere pienamente del progetto operistico.

Era dal 21 ottobre che coristi, musicisti, tecnici e amministrativi di 12 delle 14 fondazioni lirico-sinfoniche italiane erano in agitazione e hanno fatto saltare le prime a Torino, Palermo e Napoli. La direzione del Comunale Noveau sapeva che la prima poteva saltare e si era prepararata alla possibilità di un’esecuzione con il solo accompagnamento al pianoforte, come fosse un’antepiano con cantanti, mimi, comparse e coro in scena, ma senza orchestra.

Poco dopo le 20 è salito sul palco il sovrintenente Fulvio Macciardi annunciando la cattiva novella di cui si vociferava già nel foyer: troppi pochi orchestrali si sono presentati alla convocazione, l’Elisir va in scena ma con pianoforte e coro dimezzato. Il resto sarà come doveva essere con le scenografie ispirate ai quadri di Botero della serie detta “Il Circo”, immaginati dalla regia di Victor Garcia Sierra e costumi di Marco Guion con la medesima ispirazione immergendo l’opera di Donizetti nell’atmosfera di un piccolo circo a una fiera di paese in cui si muovono i personaggi dell’Elisir d’amore.

Spettatori e spettatrici che non vorranno vedere l’opera in questa forma sono invitati a chiedere il rimborso del biglietto, mentre chi resta potrà essere ospite del teatro durante le seguenti repliche riprenotando un biglietto. Per soddisfare il pubblico il teatro cerca di fare il massimo nel rispetto di chi sciopera e di chi, altrettanto leggitimamente, non ha scioperato quel giorno e, aggiungo, anche nel rispetto di chi, venendo pagato a replica, senza essere assunto, non può scioperare, come mimi e comparse, ma anche alcune sarte e truccatori o parrucchieri a giornata per i quali il taglio di una replica sarebbe una perdita notevole, rispetto al compenso atteso a fine del contratto occasionale.

L’opera lirica è una macchina molto complessa, rispettare le esigenze di tutte le parti è davvero un’operazione difficile muovendosi tra pubblico e privato in’un’ibridazione mai pienamente definita nei rapporti contrattuali, questione che è attualmente parte delle bozze di accordi in discusione al ministero oltre a clausole prettamente salariali in una ridefinizione dell’intero sistema lirico- sinfonco.

Lasciate da parte le vicende sindacali e istituzionali, lo spettacolo va avanti senza gli scioperanti, recando comunque traccia della vertenza in corso, visto che l’orchestra resta vuota e sul palco c’è metà del coro. E’ bene comunque che “the show must go on” anche a beneficio di tutti gli altri soggetti coinvolti quando si apre il sipario, lavoratori e lavoratrici che stanno dietro le quinte, in sala o sul palco in parte con contratti precari per i quali andrebbe rivisto molto più del sistema lirico- sinfonico, rovesciando l’intero sistema culturale italiano per una vita lavorativa meno incerta.

Si apre quindi il sipario, in buca una giovane pianista affronta da sola l’accompagnamento strumentale della sinfonia diretta dal ventisettenne Diego Ceretta. Sul palco e in sala mimi e figuranti della Scuola di teatro di Bologna Alessandra Galante Garrone preparati anche con collaborazione della Scuola OfficinAcrobatica creano un clima da circo adattando l’allestimento originale, di qualche anno fa, di Nausica Opera International, però senza tessuti aerei presentati in precedenti versioni e anche senza alcuni altri elementi visuali che si notano in precedenti foto di scena.

I ruoli canori sono affidati a Karen Gardeazabal (Adina), Juan Francisco Gatell (Nemorino), Andrea Vincenzo Bonsignore (Belcore), Marco Filippo Romano (Dulcamara) e Elena Borin (Giannetta). Risulta buffa Gardeazabal nel costume azzurro polvere preso da immagini di Botero, una vera personaggia boteriana, la sua voce sottile e i modi zuccherosi, sembrano adattarsi alla regia voluta da Victor Garcia Sierra facendola apparire una perfetta ragazzina che racconta favole ai paesani e che si diverte a giocare con i sentimenti di Memorino, che l’ama inizialmente non ricambiato, come anche del bel sergente di guarnigione del villaggio Belcore che la chiede in sposa. Applaudito Gatell nella celebre “una furtiva lacrima” del secondo atto cantato speranzoso su balle di fieno vestito da Pulcinella, se pure un Pulcinella in versione di Botero senza lacrima, che dalla canonica guancia passa nel canto. Il cantante si dimostra capace di passare, nel corso dello spettacolo, dal codice buffonesco del giovane imbranato e rifiutato, a quello del giovane innamorato lacrimoso che ha uno scatto d’orgoglio preferendo andar a morir soldato piuttosto che rinunciare ad Adina, per chiudere poi come conquistatore del cuore della sua bella non più da sconfitto, ma anche da uomo ricco. Il più applaudito della compagnia resta senz’altro Marco Filippo Romano come Duclamara, un ruolo divertente, che offre possibilità di emergere giocosamente e che il cantante ha impersonato in modo sobrio, elegante, senza eccedere, mettendo in luce contemporaneamente il lato comico e cialtronesco del personaggio, ma senza sbavature. Delicata e divertente Elena Borin nei panni della villanella anche lei resa ancor più bambinesca e buffa nel costume arancione boteriano.

Ben condotte le scene comiche di Dulcamara, anche quella in duetto con Adina che diviene “Nina gondoliera” mentre egli impersona il “senator Tredenti” in una barcarola a due voci. Ovviamente suscita il massimo dell’ilarità la presentazione dello “specifico” il toccasana venduto ai paesani dal ciarlatano con la promessa di fare miracoli sulle rughe come sui dolori delle vedove, di risanare dalla scrofola come dai malanni del fegato o di far rialzare i paralitici. E il riso permane quando il giovane Memorino chiede “la bevanda amorosa della regina Isotta”, che Dulcamara garantisce di possedere in gran quantità giacchè “se ne fa gran consumo in questa età”. Mentre il povero Nemorino beve del semplice Lambrusco cadendo nella trappola del falso medico, il pubblico gode della sua stupidità irretito a propria volta dalla delizia della musica donizettiana, se pure eseguita dalle sole voci e dal piano, e coinvolto dall’allegria generale del canto, dei colori della scenografia, dalla gicosità di costumi e dalle capacità dei cantanti di entrare nel gioco registico e dargli vita.

Non si può non citare il critico Giulio Donati- Petteni che nel suo testo “Donizetti” pubblicato da Garzanti nel lontano 1945, dopo aver narrato che il compositore, insieme al librettista Felice Romani scrissero l’Elisir in soli quattordici giorni chiamati dall’Impresa della Canobbiana nel 1832 dopo il forfait di un’altro compositore a pochi giorni dal debutto, riporta la cronaca della Gazzetta di Milano all’indomani della seconda rappresentazione dell’Opera in cui si afferma “questo spartito, bello dal principio al fine, ha meritato il favore generale a chi lo scrisse e a chi lo sostenne… Arie, duetti, terzetti, pezzi d’insieme, tanto nel primo che nel secondo atto, tutto è bello, bellissimo”. Il pubblico milanese apprezzò dunque subito questa opera buffa che venne in seguito rappresentata “anche all’estero, ovunque accolta con il massimo favore”, assicura Giulio Donati- Petteni.

A giudicare anche solo dai 17 allestimenti ad oggi al Comunale di Bologna a partire dal 1835 ricordati nel libretto diffuso da Comunale Nouveau, non si può non dire che l’Elisir è un’opera che attrae e diverte il pubblico e concede la possibilità di giocare su personaggi e allestimento. L’allestimento “Botero” che ne ha fatto la Nausica Opera International è sicuramente longeva considerando che gira nel teatri di tutto il mondo dal 2014 quando è apparsa a Busseto, quindi è andata a Lima (Perù) sempre nel 2014, nel 2016 a Siviglia (Spagna), nel 2017 a Tbilisi (Georgia), quindi nel 2018 ha fatto tappa a Palermo, nel 2019 a Trieste e nel 2020 a Las Palmas (Gran Canaria Spagna) e successivamente anche a Bari.

Pur con la menomazione di una rappresentazione senza orchestra e con coro decimato lo spettacolo ha retto in scena perfettamente e alla fine è stato molto apprezzato dai presenti tra i quali alcuni torneranno a rivedere l’allestimento anche con le sue parti mancanti. Un’ovazione è andata alla giovane pianista che si è fatta da sola carico della parte strumentale, come anche al giovane maestro sul podio, Diego Ceretta. Marco Filippo Romano ha suscitato grande entusiasmo nelle uscite singole dei solisti e l’applauso del pubblico è sembrato alla fine come un grande abbraccio a tutto il teatro, non solo agli e alle artiste, ma alle sue maestranze, alla direzione, a tutti coloro che portano avanti il proprio lavoro anche nei momenti difficili, comprendendo anche quanti stanno scioperando per un contratto fermo da due decenni in un mondo che cambia molto in fretta, in un Paese in cui l’arte resta l’ultimo dei problemi di chi governa e il pensiero che gli e le artiste siano anche lavoratori e lavoratrici poche volte sfiora le loro menti. C’è stato un momento durante il covid in cui sembrava che fossero tutti e tutte da annoverare tra i mestieri irrinunciabili durante una pandemia e perciò degni di ricevere sussidi ed essere destinatari di bandi perchè la produzione non cessasse, ma venisse proseguita in nuove forme, pur di regalare bellezza al mondo. Chiusa l’emergenza pandemica nulla di quanto era stato loro promesso è accaduto. Nessuna revisione delle normative sui teatri, sul cinema, sulla musica e sulla danza e men che meno delle tutele nei momenti di non lavoro di tutti e tutte le lavoratrici e lavoratori del settore. Non ci stupisce pertanto che i contratti di lavoro artistici non siano stati rinnovati e che nemmeno quello degli enti lirico- sinfonici sia ancora chiuso, se pure riguardi i soggetti più sindacalizzati e forti del settore. Ci auguriamo che alla fine della vertenza ottengano ben più dei 70€ offerti in più in busta paga, ma soprattutto ci auguriamoche si affermi in futuro un diverso modo di intendere complessivamente il settore culturale e i mestieri artistici anche se difficilmente sarà il governo attuale a compiere questa rivoluzione nel nostro Paese.