La scuola torna in piazza. E’ l’annuncio che viene dai principali sindacati della settore – Flc Cgil, Cisl Scuola, Uil Rua, Snals, Gilda – dopo il fallimento delle trattative col governo. L’oggetto del contendere è il Decreto Legge 36 presentato dal ministro Bianchi, relativo ad assunzioni, formazione e retribuzione degli insegnanti. Un provvedimento respinto nel merito e nel metodo dai rappresentanti dei docenti, che hanno dichiarato l’astensione dal lavoro nella giornata di lunedì 30 maggio e una manifestazione nazionale in Piazza Santi Apostoli a Roma.

Assieme allo stralcio del DL36 i cinque sindacati organizzatori chiedono l’avvio immediato della trattativa per il rinnovo del contratto nazionale ormai scaduto, l’implementazione delle risorse per la revisione e l’adeguamento dei profili Ata, l’aumento degli stipendi per i docenti fino all’equiparazione alla media europea, l’eliminazione degli eccessi di burocrazia nel lavoro dei docenti, la restituzione della formazione di tutto il personale della scuola alla sfera di competenza dell’autonomia scolastica e del collegio docenti, l’attuazione degli impegni sulla riduzione del numero di alunni per classe e il contenimento della dimensione delle istituzioni scolastiche entro il limite di novecento alunni per scuola. L’elenco integrale delle richieste è disponibile a questo link.

Sciopero della scuola: i docenti tornano in piazza lunedì 30 maggio.

«Il Decreto Legge 36 tratta di salario e carriera dei docenti. Temi che andrebbero affrontati con la contrattazione nazionale, non ope legis e men che meno con un decreto d’urgenza. Sono quattro anni che il Contratto è scaduto, e solo dopo aver emesso il Decreto è arrivato l’atto d’indirizzo del Ministro [necessario al nuovo Contratto N.d.R]. Come dire che prima decidono loro per forza di legge e poi si va a contrattare». A spiegare ai nostri microfoni le ragioni della protesta è Susi Bagni, segretaria bolognese della Flc Cgil.

«Poi c’è il merito. Il DL36 si regge sue due gambe: reclutamento e formazione in servizio. Sul primo punto, il reclutamento, ogni governo ha messo mano peggiorando solo le cose. Tutti questi concorsi affastellati uno sull’altro non producono la copertura dei posti disponibili, e il governo di fronte a questo immagina una procedura per l’assunzione a tempo indeterminato ancora più farraginosa e complessa. Non solo: ora per insegnare sono necessari i famosi 24cfu [crediti universitari di materie psicologiche, antropologiche e pedagogiche che fanno da requisito per la partecipazione ai concorsi della scuola N.d.R]. Con questo Decreto i cfu indispensabili diventano 60. Questo avvantaggierà i “creditifici”, quegli enti privati, università telematiche, che offrono cfu a pagamento».

«La seconda gamba è la formazione» prosegue la dirigente sindacale. «Su questo tema c’è un rumore di fondo: l’ossessione per la valutazione dovuta, evidentemente, all’idea che chi lavora nella scuola non sia sufficientemente meritevole. Loro prevedono un percorso eterodiretto di formazione lungo tre anni, deciso dall’alto, con esami intermedi e finali, per poi giungere alla fine con un premio una tantum assegnato dal comitato di valutazione di renziana memoria. E non tutti potranno accedere a questa premialità, anche se ritenuti meritevoli, ma solo il 40% dei docenti. Il tutto senza nuove risorse, ma prelevando parte di quelle destinate agli organici. Nei prossimi anni il governo prevede di diminuire i posti di 10mila unità. Per noi la diminuzione demografica da l’opportunità di avere classi meno affollate, eliminare le famose classi pollaio, con anche un tempo-scuola più lungo. E invece si taglia l’organico e si usano i soldi per questa formazione.

Tutto ciò, infine, svilisce l’autonomia scolastica. Una scuola della pianura bolognese non ha le stesse esigenze di formazione di una scuola di alta montagna. I docenti in collegio sanno cosa gli serve, non hanno bisogno di comitati calati dall’alto».

Alcuni insegnanti di un istituto bolognese, il Laura Bassi, hanno firmato una lettera aperta sul tema delle classi pollaio. «Hanno ragione!» ci dice Bagni. «Sono anni che questo territorio soffre di sovraffollamento. Questo va a discapito del diritto degli studenti, che devono poter studiare in classi non stracolme, con docenti che possono seguirli singolarmente specie in casi di difficoltà».

ASCOLTA L’INTERVISTA A SUSI BAGNI:

Lorenzo Tecleme