Un popolo senza stato che da decenni combatte una guerra a bassa intensità. Territori occupati illegalmente nel sostanziale silenzio della comunità internazionale. Campi profughi nel deserto, negoziati di pace infruttuosi e un gigantesco mure a separare genti che si sentono nemiche.

Potrebbe essere il riassunto della conflitto israelo-palestinese, forse la più famosa tra le questioni irrisolte del nostro presente. Potrebbe, ma non lo è. Tutti gli elementi che abbiamo indicato si riferiscono alla vicenda del Sahara Occidentale. Una situazione largamente dimenticata dall’opinione pubblica mondiale. A questo travagliato pezzo di mondo è dedicato il primo episodio de La Prossima Guerra, il podcast di Radio Città Fujiko sui conflitti dimenticati e quello che ancora devono scoppiare.

«Nonostante sia così vicino a noi, il Sahara Occidentale è completamente nel nostro punto cieco»

Ferdinando Cotugno è un giornalista freelance. Cura una newsletter per Domani, ha al suo attivo libri, podcast e un numero sterminato di articoli e reportage. Si occupa principalmente di clima e ambiente, ma nel 2021 – mentre ancora nel mondo infuriava la pandemia – ha iniziato un avventuroso viaggio tra deserto algerino e territori occupati dal Marocco, nel tentativo di raccontare la vicenda del popolo Saharawi.

«Nei campi profughi Saharawi vivono circa 150.000 persone, e si trovano tutti nel deserto del sud-est algerino. Sono i classici campi cronici: siamo alla terza generazione – ci vivono i nipoti di chi fuggì dalle terre contese. Immaginatevi un deserto roccioso, aspro, in cui vige una stasi totale. C’è un clima di rassegnazione che sfocia nella rabbia. I più anziani con cui ho parlato sono stanchi, delusi. I ragazzini, al contrario, coltivano il culto delle armi, del Fronte Polisario [l’organizzazione paramilitare che controlla i campi N.d.R.] – ricordo che mi hanno mostrato video di armi su TikTok. Nella loro prospettiva sono la generazione che si prepara a tornare in guerra. La parola che tutti pronunciano più di frequente – in spagnolo, perché provengono da quella che era una colonia di Madrid – è esperar, aspettare. La vita nei campi è estremamente dilatata. Non c’è economia, ci sono gravi problemi alimentari – riescono al massimo ad allevare capre e cammelli, ma il grosso del cibo arriva sotto forma di aiuti internazionali». Cotugno inizia il suo racconto ai nostri microfoni con queste immagini.

«Usciti dai campi si entra in un territorio ancora più surreale. È quella che loro chiamano free-zone, zona liberata. L’unica porzione di territorio che ai tempi della guerra sono riusciti a mantenere sotto il loro controllo, quanto di più simile esista ad un embrione di stato. Ma è deserto, non ci vive quasi nessuno. Ho visitato il palazzo presidenziale – vuoto, senza mobili, ma in funzione in occasione delle cerimonie ufficiali. Sono luoghi che sembrano catapultati dal Deserto dei tartari di Buzzati. I territori occupati si fermano con un muro. È il muro più lungo al mondo, una lunga striscia di sabbia e filo spinato protetta da soldati marocchini e milioni di mine antiuomo».

Facciamo un passo indietro. Da dove nasce la questione Saharawi, chiediamo. «Va inquadrata nell’ambito della decolonizzazione, e dei problemi della decolonizzazione. Il Sahara Occidentale era una colonia spagnola. Quando la Spagna, alla metà degli anni ’70, si libera del dittatore Franco, rinuncia senza combattere anche ai suoi territori africani. In quel momento il vicino settentrionale, il Marocco, e in minima parte quello meridionale, la Mauritania, invadono il Sahara Occidentale. Scoppia la guerra – tutt’ora nella free-zone si trovano carcasse di carri armati e caccia. È una guerra durissima, infinita. Gli unici paesi ad aiutare i Saharawi, inferiori militarmente, sono Algeria e Cuba – e infatti tutt’ora nei campi profughi si trovano ovunque le foto di Fidel Castro. Alla fine del conflitto, nei primi anni ’90, la costa del Sahara Occidentale – la zona più abitabile, con mari pescosissimi – è occupata dal Marocco. Un’invasione illegale per le Nazioni Unite, considerata invece da Rabat come semplice riappropriazione di territori che le appartengono di diritto. Poi ci sono le zone liberate, in mano al Fronte Polisario ma sostanzialmente disabitate, e infine la maggioranza dei Saharawi che vive nei campi algerini. La guerra si conclude con l’intermediazione dell’Onu, che ha in loco una missione permanente – Il MInurso, Mission des Nations Unies pour l’Organisation d’un Référendum au Sahara Occidental – con lo scopo ufficiale di organizzare un referendum sull’autodeterminazione del Sahara Occidentale. Ma questa consultazione, alla base dell’accordo di pace, non si è mai tenuta».

Come quasi sempre accade, le tensioni territoriali si intrecciano con altri temi: l’energia, le migrazioni, il clima. «La Spagna continua a considerare quell’area come sua zona d’influenza, e storicamente sostiene i Saharawi – con grande sdegno del Marocco. Ultimamente però Madrid ha spostato il suo peso verso le posizioni marocchine – preoccupata dell’afflusso di migranti sulle coste spagnole, storica arma di pressione usata dal governo di Rabat. Subito l’Algeria, protettrice dei Saharawi, ha risposto con la sua leva geopolitca: il gas. La Spagna consuma sopratutto metano algerino, e Algeri ha dimostrato di poter chiudere e aprire i rubinetti a seconda delle prese di posizione di Madrid». Proprio sulla questione energetica il Sahara Occidentale si sta dimostrando un laboratorio di tendenze inquietanti, ci racconta Cotugno. «Il Marocco è una delle nazioni con gli Ndc’s – gli obiettivi per la salvaguardia del clima – più avanzate del continente. Un’ottima cosa, ovviamente. Ma parte di questi target sono garantiti tramite l’installazione di impianti solari nei territori occupati. Una piccola cosa nell’economia generale della vicenda, ma vissuta dai Saharawi come un’ulteriore smacco».

Che prospettive appaiono credibili per questo pezzo di mondo, chiediamo in conclusione. «Il punto è che il Sahara Occidentale è totalmente dimenticato. Lo ho visto anche come giornalista: il mio reportage in Italia non lo ha voluto nessuno, lo ho dovuto pubblicare nel Regno Unito. I Saharawi percepiscono la guerra come il modo non di vincere – sanno di non averne la possibilità – ma come l’unica possibilità di accendere i riflettori su di loro. E un conflitto che si apre su questi presupposti non può che essere una tragedia».

ASCOLTA IL PRIMO EPISODIO DE LA PROSSIMA GUERRA CON FERDINANDO COTUGNO:

Lorenzo Tecleme