Un altro passo avanti della giunta Zingaretti dopo il concorso per assumere medici non obiettori. Da quest’estate in Lazio sarà possibile accedere all’aborto farmacologico anche nei consultori. Ma se per i promotori del piano di riorganizzazione della Sanità si tratta di un modo per rendere meno gravoso l’accesso alla 194, per la destra queste manovre violano proprio la legge sull’aborto. L’intervista a Serena Fredda di Non una di meno.

Regione Lazio: via i medici obiettori di coscienza

È scontro in Lazio sul progetto che punta alla de-ospedalizzazione dell’aborto chimico, che dalla prossima estate renderà la pillola Ru486 disponibile anche nei consultori familiari. Il progetto, che si inserisce nel più ampio piano di riorganizzazione della Sanità della giunta Zingaretti, prevede una sperimentazione di 18 mesi di cui proprio in questi giorni un gruppo di lavoro sta definendo le linee guida. In ogni Asl della regione saranno individuate alcune strutture, tra quelle più strettamente connesse agli ospedali, dove alle pazienti verrà somministrata la pillola abortiva.

“Nel Lazio – ha spiegato il direttore generale del dipartimento Salute e Politiche Sociali della Regione Vincenzo Panella – l’aborto chimico può già essere effettuato in day-hospital, ma in molti paesi europei, ad esempio in Francia, è ormai una pratica ambulatoriale. Nella nostra regione ormai il 15% delle interruzioni di gravidanza avviene con la Ru486, e lo spostamento nei consultori potrebbe allentare la pressione sugli ospedali, ma anche offrire alle donne un’assistenza multidisciplinare. In un contesto dove la sicurezza è garantita, appunto, dalla stretta collaborazione tra consultorio e ospedale”.

“Questo progette risponde a ciò che i movimenti delle donne hanno più volte chiesto – sottolinea Serena Fredda, della Rete Io Decido – ma ci sono da fare alcune considerazioni. Queste misure, così come il concorso per medici non obiettori, devono essere considerate come emergenziali. Il problema nella regione Lazio è che l’81% dei medici sono obiettori, quindi facciamo i conti con una sanità che non garantisce una vera libertà di scelta alle donne e non ne garantisce la dignità. Accogliamo con favore e con interesse questa sperimentazione, ma va accompagnata da altre misure che estendano questo diritto, perché non vorremmo che la somministrazione nei consultori portasse a non affrontare il tema dell’obiezione di coscienza”.

Se per Panella si tratta di una sperimentazione volta a rendere meno gravoso per le donne l’accesso alla legge 194, per i movimenti pro-life è proprio la legge sull’aborto a non essere rispettata. Un sintomo di quanto diversamente possa essere interpretata questa legge, se come lo strumento di garanzia per un accesso sicuro all’aborto, il cui scopo è quello di garantire alle donne la libertà di decidere, seppur nei limiti della legge, o se come una difesa della serietà dell’aborto, che deve restare qualcosa di difficile, fisicamente e psicologicamente. E così l’aborto chimico viene visto come qualcosa da limitare, non perché pericoloso per la salute ma perché troppo facile, troppo poco gravoso.

Anna Uras