Si allarga la solidarietà dal basso nei confronti dei profughi bloccati sotto la neve in Bosnia-Erzegovina. Dopo le iniziative cittadine di Verona, Cagliari e Bologna, nasce una campagna nazionale che ha lo scopo di «portare un aiuto concreto alle organizzazioni presenti in Bosnia, contribuendo all’acquisto di materiali e beni necessari ad affrontare l’emergenza umanitaria in corso».
Si chiama “Route Roulette – No more bets” Il riferimento è alla roulette che rappresenta migrare per milioni di persone oggi, al punto da diventare una vera e propria scommessa, dove in palio può esserci la vita stessa.

Profughi, le migrazioni non devono più essere una scommessa

La campagna Routes Roulette nasce in seguito all’incendio del campo profughi di Lipa, avvenuto lo scorso 23 novembre. Nella città bosniaca nordoccidentale è in corso un’emergenza umanitaria, e le immagini dei media che ne parlano si sovrappongo a quelle di un mondo già attanagliato dalla pandemia. Molte persone, senza il campo, sono qui costrette a vivere in strada, in una terra che d’inverno non perdona, raggiungendo temperature sotto lo zero. Una tragica emergenza umanitaria, quindi, a cui la “roulette delle rotte” cerca come organizzazione di portare beni di prima necessità e aiuti concreti nel campo di accoglienza.

Il nome della campagna è rappresentativo della nostra epoca: la migrazione oggi costituisce una scommessa sulla vita, dalle sorti improbabili per chi lascia la propria terra in condizioni disperate. La campagna vuole rispondere “no more bets”. Niente più scommesse, dunque; ma semmai promesse di un corridoio libero da criminalizzazioni o indifferenza, e di destinazioni più sicure, più accoglienti. Più umane.
Come spiega Marco Siragusa, giornalista ed esperto dei Balcani, il progetto umanitario «ha come obiettivo più immediato la raccolta fondi», cosicché le diverse associazioni non governative che lavorano sul territorio possano contare su un sostegno economico per supportare i migranti, fornendo loro acqua calda, luce e cibo. Ma «l’obiettivo più generale è tenere i riflettori accesi sulla rotta balcanica, e tentare di unire le due rotte, balcanica e mediterranea, in un discorso complessivo».

L’idea è che Libia, Tunisia e Bosnia, seppur nelle dovute differenze, non siano casi così isolati, e rispondano più in generale a politiche migratorie locali, quanto europee, fallimentari.
Attualmente la Bosnia non può contare su uno stato che mira ad una risoluzione specifica del problema, dal momento che ha adottato politiche repressive. Ma non serve uscire dall’Europa per scorgere reazioni simili, come dimostra la stessa repressione compiuta in Croazia ai danni dei migranti.
«La soluzione non è semplice, ma bisogna innanzitutto creare nell’immediato un sistema di accoglienza quantomeno umano – conclude Siragusa, alludendo alle tragiche immagini di persone private dei loro diritti e lasciate assiderare sotto la neve – «e complessivamente creare corridoi umanitari e frontiere più permeabili».

Sono diverse le prime organizzazioni a livello italiano che hanno aderito e operano sia nel settore della solidarietà diretta che in quello dell’informazione. Tra queste ci sono H.R.Y.O. – Human Rights Youth Organization, Associazione Naka Maghweb, Stato Brado – Circolo Arci, Forme, East Journal, Nena News Agency, Baobab Experience, Centro Muni Gyana, Noi@Europe, Centro Diaconale La Noce – Istituto Valdese, Isi Onlus, La Casa di Paolo, Osservatorio Balcani Caucaso Transeuropa, Progetto Violetta, Via delle rondini, European Alternatives e anche Radio Città Fujiko.

Emily Pomponi

ASCOLTA L’INTERVISTA A MARCO SIRAGUSA: