È mattina, quel 21 gennaio 1921, quando la minoranza dei delegati al XVII Congresso del Partito socialista italiano, che si tiene a Livorno già da 5 giorni, decide di rompere gli indugi e uscire in corteo dal centrale e maestoso teatro Goldoni per il vicino San Marco, un altro teatro che negli anni del conflitto aveva svolto però la funzione di magazzino dell’esercito. Non funzionava il riscaldamento, qualcuno dice che piovesse anche all’interno e che mancassero sedie e panche, ma vi si respirava un’aria mitica. C’erano gli astensionisti guidati dal napoletano Amedeo Bordiga, il gruppo torinese che faceva capo alla rivista L’Ordine nuovo guidato da Antonio Gramsci e da Angelo Tasca, due vecchi socialisti di Imola come Anselmo Marabini e Antonio Graziadei che dovevano garantire un ponte con i massimalisti e pezzi della Federazione giovanile socialista infiammati dal mito della rivoluzione russa.
Nasceva così il Partito comunista d’Italia: un partito che doveva essere la sezione- una delle ultime a nascere- di un più grande partito della rivoluzione mondiale, il Komintern ovvero la Terza Internazionale fondata a Mosca nel 1919 sull’idea di Lenin che la Russia sovietica avrebbe trionfato solo con l’aiuto dei rivoluzionari di tutto il mondo.

Nascita del Pci: lo speciale di Vanloon sulle donne comuniste

Se il 1917 russo aveva generato entusiasmo nei sovversivi di tutto il mondo, soprattutto di fronte allo sfacelo sociale e il carico di violenza diffusa lasciati in eredità dalla Grande guerra, con più difficoltà vennero accolte le condizioni per aderire alla nuova Internazionale lanciata da Lenin. I bolscevichi avevano stabilito una linea netta, per rompere con i riformisti, al secondo congresso dell’organizzazione del 1920:

Tutta l’attività di propaganda e di agitazione deve essere di natura autenticamente comunista e conforme al programma e alle decisioni dell’Internazionale comunista.
Qualsiasi organizzazione che voglia aderire all’Internazionale comunista deve rimuovere, sistematicamente, i riformisti e i centristi da tutti gli incarichi di responsabilità all’interno del movimento operaio e sostituirli con comunisti collaudati,
I partiti comunisti dei paesi in cui i comunisti operano nella legalità ogni tanto debbono intraprendere un’opera di epurazione tra i membri del partito per sbarazzarsi di tutti gli elementi piccolo borghesi che vi siano infiltrati.

Il Psi aveva rifiutato di adeguarsi, per cui fu la frazione comunista a raccogliere questa istanza, rompendo con la maggioranza dei compagni, per creare quell’organizzazione dura, disciplinata e costruita da un gruppo di militanti totalmente dediti alla causa che avrebbe traghettato il partito attraverso il fascismo e la Resistenza.E che si sarebbe chiamato fino al 1943 Partito comunista d’Italia.

Giulio Cerretti, uno di questi rivoluzionari di professione, avrebbe definito questa fase come “gli anni del comunismo romantico”: clandestinità, fughe, viaggi in Unione sovietica e nei luoghi della migrazione ma anche disciplina severa e un’ideologia indiscutibile. Le biografie dei fondatori del PcdI raccontano tutto questo.

Abbiamo parlato solo al maschile, giusto? Rossana Rossanda, una protagonista della sinistra, ha parlato della storia del movimento operaio nel Novecento come di una storia di uomini; ma le donne ci sono state e hanno avuto un ruolo centrale, anche se non se n’è mai parlato come avrebbero meritato. Per questo centenario del 1921, Vanloon ha deciso di raccontare cinque storie di donne comuniste che hanno vissuto, con le loro vite, una rivoluzione collettiva ma anche individuale.

Scoprite con noi la storia di: Rita Montagnana, Teresa Noce, Rita Majerotti, Camilla Ravera, Xenia Silberberg da lunedì prossimo, alle 17:30 circa, all’interno de L’indigesto.
Domani invece non perdete la puntata in onda alle 14:30 in cui la redazione vi porta il cinema alla radio con il ruolo del militante comunista nelle pellicole nostrane.
Stay tuned!