Il 3 luglio, a quanto si apprende, dovrebbe essere la data del primo esame del Parlamento della bozza di riforma del Senato della Repubblica. La nuova camera alta, stando alle voci che circolano dopo l’incontro tra Romani e Boschi, sarebbe diretta emanazione delle regioni e degli enti locali.

Il dado ormai è tratto e sembra proprio che il destino del Senato elettivo sia segnato. L’incontro tra la Ministro per le Riforme Boschi e Paolo Romani, ambasciatore di Berlusconi, avrebbe segnato l’accordo tra le due parti, pur non essendo completamente risolutivo. La nuova Camera alta, sarebbe composta da 100 senatori, e non più 143 come prevedeva la bozza dell’esecutivo, eletti, ma forse sarebbe il caso di dire nominati, in proporzione agli abitanti di ciascuna regione. Anche se il testo che arriverà in aula il 3 luglio (la data fissata dalla conferenza dei capigruppo) non è ancora ufficiale e suscettibile di cambiamenti, i nuovi senatori potrebbero essere i presidenti di regione (per le province autonome di Trento e Bolzano, i due presidenti di provincia).

Le competenze, nodo centrale della riforma, dovrebbero riguardare, ma siamo nel campo delle ipotesi, le leggi costituzionali e i trattati internazionali, in un’ideale funzione di raccordo tra autonomie e Governo. La notizia più importante, però, in un’ottica di superamento del bicameralismo perfetto, è che il Senato non voterà la fiducia all’esecutivo. Dovrebbe essere salvo il concorso della camera alta all’elezione del Presidente della Repubblica, del Consiglio superiore della Magistratura e della Corte Costituzionale.

Il Bicameralismo perfetto e paritario è figlio di un’epoca che non c’è più. Nasceva dall’esigenza di garantire nel Parlamento tutte le forze politiche, nel quadro internazionale di divisione del mondo in due blocchi. Per superare la contrapposizione tra DC e PCI, si decise di disegnare un quadro istituzionale che permettesse ai due partiti di convergere sulle politiche più importanti per il paese” dice, ai nostri microfoni, il costituzionalista Andrea Morrone.

In questo senso l’impianto istituzionale italiano rappresenta un unicum. Il Senato, come in tutti i paesi che hanno una struttura regionale o federale, dovrebbe diventare una camera che rappresenta i territori. Dunque una camera che non dà la fiducia al governo, ma che si limita ad un funzione di “raffreddamento”, cioè prende in esame provvedimenti rilevanti, ma con il diritto all’ultima parola che resta nelle mani della Camera dei Deputati.” spiega ancora Morrone.

Sulla non-elettività dei senatori Morrone è franco. “Se si vuole evitare il fatto che il Senato continui a dare la fiducia al Governo, il fatto che i senatori non siano eletti è una scelta coerente. Non avrebbe senso, invece, che dei senatori eletti direttamente, fossero esclusi dal processo politico.”