Nella Russia sovietica, nel pieno del 2° conflitto mondiale, un compositore armeno, autore di celebri balletti ed anche di musica da film, intona il suo personale inno d’esortazione alla difesa della libertà, lottando contro ogni forma d’oppressione, tutto questo nella puntata di “Un tocco di classico”, in onda giovedì 22 agosto, dalle 20 alle 21
Fra i 3 grossi calibri della musica sovietica (essendo Stravinski e Rachmaninov transfughi in America), Prokofiev, Kachaturian e Shostakovich, l’armeno Aram Ilich Kachaturian (1903-1978), era quello meno interessato ad arditezze armoniche e formali e sperimentalismi vari, ma assai di più all’immediatezza comunicativa nei confronti del pubblico. Lo stesso Shostakovich, che pure non scherzava, gli riconosceva una decisa supremazia come spontaneità della vena melodica. Nel linguaggio di Kachaturian, solidamente tonale e caratterizzato da frequenti ritmi di danza, confluiscono elementi del folclore armeno, azerbagiano e georgiano, che donano alla sua musica un tocco esotico e coloristico del tutto particolare.
Ironia della sorte, durante la cosiddetta “guerra patriottica”, conseguenza dell’attacco nazista del giugno ’41, gli artisti sovietici, musicisti compresi, godettero di maggior libertà espressiva, rispetto al precedente “periodo di pace” del regime stalinista (ovviamente, immediatamente dopo il termine delle ostilità, ricominceranno le docce fredde, con relative messe al bando e “purghe”). Lo notò lo scrittore Ilia Erenburg, financo in occasione dell’esecuzione, nella Leningrado assediata nell’agosto del ’41, della 7^ sinfonia di Shostakovich, affermando che “con la musica era possibile far intendere cose non riferibili a parole”.
E’ in questo clima che s’inserisce la 2^ delle 3 sinfonie di Kachaturian, in mi minore, quella caratterizzata, fin dal suo esordio, da un lancinante rintocco di campana, simbolo di ribellione all’invasore, che ritorna più volte nel corso della composizione, personale atto di protesta del musicista nei confronti del conflitto. L’accordo che caratterizza questo rintocco, tra l’altro, è lo stesso con cui principia il canto anonimo duecentesco del “Dies Irae”, utilizzato efficacemente nel 3° movimento, vera ossessione di molti compositori nei secoli a venire (lo utilizza, fra i tanti, Erik Nordgren, nelle musiche per “Il settimo sigillo” d’Ingmar Bergman). Sorprendentemente, nell’ultimo movimento, si passa però ad un radioso mi maggiore, per portare una ventata d’ottimismo, pur in un’atmosfera generale di grande tensione. Rispetto agli altri, più monocromaticamente “sovietici” nell’impianto, il 2° è l’unico movimento nel quale balzano in grande evidenza, i tipici tratti idiomaticamente folcloristici, accompagnati da movenze di danza, con una strumentazione marcatamente esotica e rutilante, sincero marchio di fabbrica del compositore.
Composta nell’estate del ’43, prima assoluta il 30 dicembre di quell’anno, successivamente, col mutare in positivo degli eventi bellici, un taglio nel finale, per accentuarne il carattere ottimistico, nella revisione del ’44 (quella trasmessa in questa sede), un secondo taglio nella versione definitiva del ’69, in aggiunta a piccoli ritocchi nell’orchestrazione.
Pur preferendo la versione originale del ’43 (incisa dal solo Neeme Jaervi con la Royal Scottish National Orchestra, per la Chandos e reperibile pure su You Tube), in virtù della più pronunciata drammaticità del finale, l’interpretazione viscerale diretta dall’autore della revisione del ’44, incisa per la Decca, con la Filarmonica di Vienna, l’11 marzo 1962 alla Sofiensaal, resta tutt’ora un assoluto riferimento di portata veramente storica, caratterizzata da un’autentico “technicolor” sonoro, dovuto alla grande perizia dei tecnici della casa anglosassone (l’8 marzo vi registrò pure 2 brevi selezioni dai suoi balletti “Gayaneh” e “Spartacus”) e per questo motivo, alla fine, l’ho scelta (credo che abbia inciso la versione del ’69 di questa sinfonia, negli anni ’70, per la casa discografica di stato Melodiya).
Postludio: proprio un bel tipo questo Kachaturian (2 nipoti compositori, Emin e Karen), poichè nelle pause fra una seduta di registrazione e l’altra, approfittando di queste sue sortite occidentali, s’aggirava per i negozi della città, abbandonandosi sfrenatamente agli acquisti compulsivi e ritornando in patria, regolarmente, con i valigioni stracarichi di roba! Purtroppo, la sua 3^ ed ultima sinfonia (sinfonia-poema in un movimento), composta nel ’47, ovvero nuovamente in “tempo di pace”, per 15 trombe (tante quante le repubbliche socialiste sovietiche), organo ed orchestra, avrà ben altra sorte, venendo messa al bando dal regime poco dopo la prima esecuzione assoluta del 13 dicembre dello stesso anno, per via della sua struttura poco ortodossa e della sua “eccessiva drammaticità”, essendo alfine riesumata agli inizi degli anni ’60, in piena “distensione krushoviana”, la “libertà espressiva” del periodo bellico, essendo oramai un pallido ricordo!
— Gabriele Evangelista —