La macchina istituzionale dell’accoglienza dei profughi che scappano dalla guerra in Ucraina si è messa in moto, ma non senza intoppi. Oltre alla discriminazione nei confronti di persone bloccate nel Paese ma di nazionalità diversa, come le persone africane, si registrano lunghe estenuanti file al confine con la Polonia, che consente solo ingressi contingentati.
In Italia i primi profughi sono arrivati e vengono distribuiti nella città. Nel nostro territorio il Comune di Bologna, quello di San Lazzaro e l’intera Città Metropolitana si sono attivati con posti nel sistema di accoglienza, ma un grande contributo arriva anche dai cittadini e dalle cittadine che aprono le proprie case.

Grande è stata anche la risposta della cittadinanza alle campagne per la raccolta di aiuti, sia economici che materiali, al punto che la Caritas ha comunicato di non raccogliere più beni di prima necessità.
Esiste però anche la solidarietà espressa da associazioni o privati cittadini, che stanno realizzando staffette per andare a recuperare profughi ucraini al confini e portarli al sicuro. Tra queste oggi vi raccontiamo due esperienze.

La solidarietà europea con i profughi lbt

Non tutti i profughi della guerra sembrano essere uguali. Chi subiva discrimazioni prima, oltre a rischiare di più in un contesto bellico, rischia di subire discriminazioni anche nell’accoglienza. È per questo che Eurocentralasian Lesbian Community (ELC) si è attivata, mettendo a disposizione una casa sicura in Romania, ma organizzando anche l’evacuazione di persone lbt e, successivamente, di consentire loro di andare in un Paese europeo sicuro in base alla disponibilità raccolta dalle associazioni partner. Tra queste, nella nostra città si è attivata Lesbiche Bologna.

«La nostra associazione rappresenta donne lesbiche, bisessuali e trans in Europa e Asia centrale – racconta ai nostri microfoni Ilaria Todde, che si trova in Romania – Abbiamo moltissimi contatti con le attiviste ucraine, anche perché nel 2019 avevamo organizzato una conferenza a Kiev, che fu attaccata dall’estrema destra».
La rete è stata subito attivata e l’associazione sta seguendo l’evacuazione delle persone. Uno dei problemi registrati riguarda soprattutto le donne trans, specialmente se i loro documenti non rispecchiano l’identità di genere.

Chiunque in Europa può candidarsi ad accogliere le persone seguite da ELC, compilando un form sul sito dell’associazione, cui si può accedere dalla loro pagina Facebook.
«Noi ci occuperemo di smistare le persone nei vari Paesi – racconta Todde – Lo smistamento dipende da molti criteri, perché le persone possono avere delle preferenze dovute alla lingua o a contatti presenti in un Paese. Stiamo anche cercando di raccogliere tutte le informazioni necessarie dai punti di vista legale e logistico in modo da avere chiara la situazione per loro quando arrivano».

ASCOLTA L’INTERVISTA AD ILARIA TODDE:

La staffetta “privata” per mettere in salvo donne e bambini

C’è anche chi è andato in prima persona a recuperare profughi direttamente in Ucraina. È la storia di Claudio Cantù, un uomo già impegnato a livello associativo sul tema del Saharawi, che nell’azienda in cui lavora ha scoperto la situazione difficile che una collega stava vivendo a causa dell’impossibilità di muoversi della sua famiglia. Per questo è stato deciso di mettere in piedi una missione che avesse tre obiettivi: portare beni di necessità in Ucraina, recuperare profughi all’interno del territorio ucraino stesso e portarle in Italia.
Nello specifico il caso più problematico è stato quello di una famiglia composta dalla madre, due gemelli di appena tre mesi e una bimba di sei anni.

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Claudio racconta ai nostri microfoni tre ordini di problemi che le persone che scappano dalla guerra incontrano. Il primo riguarda il raggiungimento del confine, un viaggio della speranza che trova ostacoli come la scarsità di carburante o il sovraffollamento dei mezzi pubblici per raggiungere la frontiera più prossima. A queste si aggiungono le difficoltà delle famiglie con molti figli, che spesso non possono contare sull’aiuto degli uomini, a cui è impedito di lasciare il Paese per un possibile arruolamento.
«La famiglia che abbiamo recuperato ha dovuto percorrere 1800 kilometri con solo la madre e tre bambini piccoli, di cui due neonati».

Un secondo problema riguarda il confine stesso. Se apparentemente la fuoriuscita dei profughi ucraini è agevolata, al confine ungherese, quello attraversato dal convoglio solidale italiano, si manifestano situazioni già denunciate altrove, come una selezione etnica delle persone che possono lasciare il Paese.
L’ultimo problema, infine, è rappresentato dalla destinazione finale. Le famiglie trasportate da Claudio hanno potuto usufruire del ricongiungimento famigliare. Qualora non vi fossero parenti in Italia o in altri Paesi europei è importante che le persone possano accedere al sistema di accoglienza.

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