Prima l’uscita della premier Giorgia Meloni sulle Fosse Ardeatine, le cui vittime sarebbero state colpite perché italiane, poi l’uscita del presidente del Senato Ignazio La Russa, secondo cui nell’attentato di via Rasella i partigiani avrebbero colpito degli orchestrali innocenti. Nel mezzo quotidiane uscite di esponenti di Fratelli d’Italia, con cariche istituzionali o meno, dello stesso tenore.
Si tratta di una vera e propria guerra a bassa intensità, che però aumenta il volume con l’approssimarsi del 25 aprile, ai danni della Resistenza e dell’antifascismo.
Le uscite della destra contro la Resistenza sono una strategia di erosione dell’antifascismo
Ci sono diverse chiavi di lettura su quella che sembra proprio una strategia della maggioranza di governo incarnata da queste uscite che non hanno nulla a che fare con la storia e le sue regole scientifiche.
Qualcuno sostiene che siano un tentativo di distrazione di massa, per sollevare un tema a forte carica di polarizzazione in modo da sviare l’opinione pubblica dai fallimenti dell’esecutivo, come la questione dei ritardi sul Pnrr o i problemi della sanità. Una tesi che non può essere esclusa, ma che può andare di pari passo con un secondo obiettivo, che lo storico Luca Alessandrini sintetizza con l’erosione della cultura antifascista alla base della Costituzione in Italia.
«Da un lato c’è una grande ignoranza, una grande superificialità e la mancanza di conoscenza, che non è da sottovalutare – sostiene Alessandrini – Però in persone che ricoprono questi incarichi istituzionali l’ignoranza non è ammessa».
Il vero nodo, per lo storico, è su dove si vada a parare. E per capirlo occorre partire dal «fastidio per il patto costituzionale, per la storia della repubblica, per come è nata, per l’antifascismo».
Nella destra al governo, inoltre, «esiste un bisogno smodato di sminuire le responsabilità del fascismo», continua Alessandrini. E anche se ogni tanto ci sono lievi prese di distanza, complessivamente il fascismo non viene messo in discussione.
Le continue provocazioni, le sparate grevi, le dichiarazioni qualunquiste seguite da parziali e tardive scuse, secondo lo storico hanno lo scopo di «erodere la qualità antifascista della repubblica».
La strategia a gocce, in particolare, non prevede provvedimenti drastici che solleverebbero fortissima indignazione e opposizione, ma una serie di più o meno piccole dichiarazioni che hanno lo scopo di creare «una marmellata in cui tutto è uguale – sottolinea Alessandrini – “Anche i partigiani hanno fatto delle cose non belle, anche il fascismo ha fatto delle cose buone”, la continua proposta di questi temi mira a dare l’idea di un passato non importante e non significativo per il nostro presente. Alla lunga ciò significa svincolare il Paese dalla sua storia costituzionale, che è storia antifascista».
Nel merito dell’uscita di La Russa, lo storico sottolinea le peculiarità della guerra di guerriglia condotta dai partigiani, che per evidente disparità di mezzi non potevano fronteggiare l’occupante nazista in campo aperto. L’attentato di via Rasella rappresentava dunque un episodio di guerra di guerriglia, dove ad essere colpiti erano poliziotti con la divisa delle SS, quindi nemici.
«Winston Churchill, premier inglese durante la Seconda Guerra Mondiale, sosteneva che la Resistenza era la quarta arma, dopo esercito, marina ed aeronautica militare – osserva Alessandrini – Era un’arma perché attraverso punture di spillo impegnava il nemico sul fronte interno, infatti un terzo delle divisioni che occupavano il Paese, invece di combattere gli Alleati, erano impegnate a difendersi da queste continue punture di spillo».
Azioni ed attentati che erano desiderate da tutti, sottolinea Alessandrini, e che rappresentano le modalità della guerra di guerriglia che la destra ignora o finge di ignorare. «Ma vogliono anche sminuire questa grande storia che noi abbiamo», conclude lo storico.
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