Le elezioni regionali di domenica e lunedì scorso hanno visto l’affermazione del centrodestra sia in Lombardia che nel Lazio. Se in quest’ultimo la coalizione conservatrice ha strappato la Regione al centrosinistra, in Lombardia il voto segna una continuità con un lungo passato.
Tuttavia è proprio il risultato lombardo a suscitare più sgomento, perché la gestione della pandemia del governatore Attilio Fontana può tranquillamente definirsi disastrosa, tra morti nelle Rsa, scandali e inchieste giudiziarie. Perché tutto ciò non ha contato? È la domanda che si pongono in molti, ma la cui risposta necessità di un’analisi approfondita.
La vittoria di Fontana alle regionali in Lombardia: una questione di struttura socio-economica
A fare quest’analisi ai nostri microfoni è Massimo Alberti, giornalista di Radio Popolare di Milano, che crea un filo rosso tra diversi elementi, tra cui osservazioni e ricerche. «Come spiegava ai nostri microfoni questa mattina Marco Garzonio, sociologo e presidente della Fondazione Ambrosaneum – osserva Alberti – attorno al Covid c’è stata una sorta di rimozione, una mancata rielaborazione del lutto e un passare oltre».
Di per sè, però, questo dato non è sufficiente a spiegare la riconferma di Fontana. Ed è per questo che il giornalista cita uno studio di due economisti, Roberto Romano e Paolo Maranzano, che hanno analizzato la composizione della struttura socio-economica della Lombardia.
Un dato rilevante che emerge dallo studio è che in Lombardia le rendite hanno superato i salari nella formazione della ricchezza delle persone. Accanto a ciò, si registra un drastico calo degli investimenti in innovazione e ricerca e le politiche regionali di finanziamento al privato, che creano profitto sul basso valore aggiunto e sul lavoro precario, oltre al denaro pubblico.
«Questi tre elementi ci fanno dire che la Lombardia da un punto di vista socio-economico è in declino – evidenzia Alberti – ma sono anche le tre basi di partenza che ci fanno dire che la situazione economica della Lombardia è l’attuale punto di forza della destra, che infatti vince».
Il perno dell’economia sulla rendita è ciò che produce fenomeni che iniziamo a vedere anche in Emilia-Romagna, cioè l’espulsione delle fasce meno abbienti dai centri cittadini, ma ormai anche dalle periferie. A Milano, in zone periferiche e poco coperte dai servizi, l’affitto di un monolocale può arrivare a costare anche 8-900 euro.
L’analisi del voto evidenzia che l’astensione aumenta al calare del reddito e, altro dato rilevante, poiché l’astensionismo ha toccato in modo ormai strutturale picchi del 30-40%, è facile spiegare l’affermazione dei propugnatori del modello socio-economico dominante.
In altre parole, a votare vanno soprattutto le persone garantite dal sistema e poiché a tutelare gli interessi dei garantiti è la destra, ecco perché Fontana è stato riconfermato nonostante i disastri della pandemia.
La domanda, però, ora si sposta sul perché il centrosinistra non riesca a rappresentare un’alternativa. La risposta passa necessariamente dall’analisi delle politiche del centrosinistra, ad esempio a Milano.
«A Milano prima Pisapia e ora Sala – evidenzia il giornalista – hanno sostanzialmente garantito la medesima dinamica di conservazione di uno status socio-economico. Anche nelle loro Amministrazioni il pubblico ha smesso di essere soggetto di redistribuzione di risorse e regolatore dei processi e sostanzialmente sta a guardare, favorendo quei settori economici, come la rendita immobiliare e il settore del terziario e dei servizi, che producono ricchezza ma non per tutti».
La differenza che passa tra la destra e il centrosinistra, in città come Milano, è «una spruzzata di pink», cioè un’attenzione ai diritti civili e al cosmopolitismo, che però fuori dalla città non fa presa su persone sempre più spinte ai margini.
Per invertire la rotta, quindi, occorrerebbe parlare con quel 30-40% di persone che non votano, con il rischio però di toccare gli equilibri che finora garantiscono consenso, col rischio di perderlo.
Per contro, le formazioni di sinistra radicale non riescono a raccogliere quel consenso, perché non sono in grado di fornire alle persone espulse dalle città, quelle che ad esempio fanno la fila alla mensa dei poveri, risposte immediate ai loro problemi.
ASCOLTA L’INTERVISTA A MASSIMO ALBERTI: