Il presidente del Consiglio va ripetendo che se perde il referendum costituzionale di ottobre lascerà la politica, tentando di trasformare la consultazione in un plebiscito sul suo governo. In caso di vittoria del “No”, però, non si tornerà alle urne. A spiegare perché è Claudio De Fiores, docente di Diritto Costituzionale.
Ad ottobre gli italiani saranno chiamati ad esprimere un’opinione sulla legge Boschi che riforma la Costituzione italiana, con modifiche che vi abbiamo già raccontato qui.
All’indomani dell’approvazione definitiva, Sandra Bonsanti di Libertà e Giustizia, contraria alla riforma, aveva pronosticato che il premier Matteo Renzi avrebbe utilizzato tutte le armi a sua disposizione per far passare la riforma, anche con misure populiste con l’abbassamento delle tasse.
Nemmeno un mese di tempo ed ecco verificarsi la profezia. La settimana scorsa Renzi ha annunciato l’intenzione di abolire o ridurre molto l’Irpef e di abolire il bollo auto.
Renzi, però, sta utilizzando anche un’altra arma retorica per far sì che al referendum di ottobre vincano i “sì” alla sua riforma. Non potendo invitare all’astensione (come fece in caso del referendum sulle trivellazioni), dal momento che non sarà necessario il raggiungimento del quorum, al segretario Pd non resta che tentare di trasformare il voto in un plebiscito su di lui e sul suo governo.
“Se perdo vado a casa“, ha ripetuto più volte Renzi. Una promessa che non potrà essere verificata prima del day after, il giorno dopo il referendum.
I sostenitori del premier e del suo partito, però, non hanno ragione di preoccuparsi, così come non hanno ragione di sperare i detrattori dell’attuale governo.
L’unica certezza che al momento abbiamo, infatti, è che, in caso di vittoria dei “no”, non si tornerà immediatamente al voto. A spiegarlo, ai nostri microfoni, è Claudio De Fiores, docente di Diritto Costituzionale alla Seconda Università di Napoli.
In particolare, tutto nasce dalla stretta correlazione tra la legge elettorale vigente, il cosiddetto Italicum, e la riforma costituzionale. L’attuale legge elettorale, infatti, è scritta come se la riforma Boschi della Costituzione fosse già operativa, in particolare per ciò che riguarda il ruolo, le competenze e le funzioni del Senato.
“L’Italicum – spiega De Fiores – È congegnato solo per la Camera. In caso di vittoria dei “no”, dunque, si aprirebbe il problema di come mandare a votare i cittadini”.
Gli scenari possibili sono almeno due. Il primo scenario, quello che per De Fiores è il più probabile, è che il Parlamento torni a discutere di legge elettorale, proprio per il fatto che attualmente c’è un sistema elettorale confuso. In particolare, tenendo contro della sentenza della Corte costituzionale che ha dichiarato incostituzionale il Porcellum e il successivo intervento legislativo, attualmente abbiamo un sistema elettorale (Italicum) per la Camera e uno (proporzionale) per il Senato.
Il secondo scenario, già evocato da qualcuno, prevede che si adotti una norma ponte per applicare il sistema dell’Italicum anche al Senato.
Un’ipotesi che, secondo De Fiores, non è possibile o praticabile, dal momento che potrebbe prodursi un esito elettorale contraddittorio.
“Potrebbe ad esempio succedere – spiega il docente – che alla Camera si arrivi ad un ballottaggio tra Pd e M5S, mentre al Senato un ballottaggio tra destra e Pd”.
Qualora vincessero i “no” al referendum d’ottobre, dunque, anche se Renzi decidesse di lasciare veramente la politica, è difficile che le Camere possano essere sciolte.
Governi tecnici, nuove maggioranze o semplicemente un nuovo premier con l’attuale maggioranza: sono infinite le speculazioni politiche che si possono fare e con cui si dovrebbe confrontare il presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Rimane però abbastanza certo che, plebiscito o no, non sarà il referendum costituzionale a portare i cittadini alle urne.