Mentre Mario Draghi presenta il suo programma e cerca la fiducia al Senato, dall’Emilia-Romagna arriva la richiesta di mantenere il reddito di cittadinanza. La misura voluta dal M5S ed introdotta durante il primo governo Conte, infatti, è uno dei temi che potrebbero essere messi in discussione dal nuovo governo. Molte delle forze politiche che lo sostengono, infatti, non hanno mai amato questo paracadute sociale e, attraverso la retorica dei fannulloni, hanno sempre cercato di affossarlo.
In viale Aldo Moro, invece, si è manifestato un sostegno che ripropone l’alleanza M5S, Pd e LeU che gli stessi leader nazionali hanno detto di voler mantenere.

Reddito di cittadinanza, la risoluzione per salvarlo

La Commissione Welfare della Regione Emilia-Romagna ha dato il via libera alla risoluzione di M5s ed Emilia-Romagna Coraggiosa per confermare il reddito di cittadinanza. L’atto di indirizzo porta la firma della capogruppo pentastellata, Silvia Piccinini, e di Igor Taruffi e Federico Amico di ER Coraggiosa.
Nel documento si sollecita un intervento dell’esecutivo regionale nei confronti di Governo e Parlamento. In particolare, si chiede di «continuare ad assicurare misure universali e personalizzabili per contrastare la povertà e per favorire l’inclusione lavorativa e sociale, quali il reddito di cittadinanza (che ha già coinvolto 1,5 milioni di famiglie italiane), prevedendo azioni per rafforzarne l’efficacia, anche rispetto al quadro che si è determinato a seguito della pandemia».

A sottolineare come il reddito di cittadinanza sia stato uno strumento prezioso per attutire gli effetti della pandemia è stato anche il Partito Democratico. La consigliera Lia Montalti ha sostenuto che «in questa delicata fase le situazioni di fragilità e di povertà sono aumentate, è quindi utile rafforzare questo tipo di politiche, individuando misure che vadano a rafforzarne l’efficacia anche rispetto al quadro che si è determinato con la pandemia e andando a irrobustire le azioni di inserimento lavorativo affinché siano maggiormente accessibili, efficaci e misurabili».

Giusto ieri, la vicepresidente della Regione, Elly Schlein, ha ricordato gli effetti devastanti della pandemia sul piano sociale ed economico. Rivendicando i 100 milioni di euro mobilitati da viale Aldo Moro per contrastare il problema, la stessa Schlein ha ammesso che le misure non saranno sufficienti, poiché si fa strada una povertà nuova, inedita, che coinvolge persone, soprattutto donne, che non si erano mai rivolte ai servizi per chiedere aiuto.
Nel suo intervento, Schlein ha anche chiesto al nuovo governo di rinnovare i blocchi degli sfratti e dei licenziamenti, in modo da evitare che la drammatica situazione sociale si riversi completamente sugli enti locali.

«Abbiamo ritenuto fosse opportuno cominciare a indicare al governo alcuni paletti che secondo noi devono essere ben chiari – spiega ai nostri microfoni Igor Taruffi, firmatario della risoluzione – A partire dalla necessità di mantenere e implementare il reddito di cittadinanza che, anche se con dei limiti e alcune contraddizioni, è stato uno strumento efficace di contrasto alla povertà che ha aiutato migliaia e migliaia di cittadini in tutto il Paese. Anche in previsione dei problemi occupazionali che ci saranno al termine della pandemia, riteniamo che strumenti di contrasto alla povertà come quelli vanno mantenuti e implementati».
Taruffi è anche il firmatario della legge regionale sul Reddito di Solidarietà (Res) che anticipò di due anni e mezzo su scala locale lo stesso reddito di cittadinanza.

Non tutta la maggioranza, però, sostiene il reddito di cittadinanza. Sempre ieri in commissione, infatti, Giulia Pigoni della Lista Bonaccini ha bocciato la misura di sostegno. «Il reddito di cittadinanza è uno strumento che non sta funzionando, lo dicono i dati, era anche prevedibile, l’obiettivo è nobile ma lo strumento è sbagliato – ha detto Pigoni – Una misura che non crea occupazione, con risorse erogate sulla base di autocertificazioni e scarsi controlli». Fuori dall’Assemblea Legislativa, Pigoni è un’esponente di Azione, il partito di Carlo Calenda che, insieme ad Italia Viva, ha espresso posizioni difformi a quelle della maggioranza nazionale del Conte bis.

I dati del reddito di cittadinanza e la qualità del lavoro in Italia

Lo scorso novembre il presidente dell’Anpal (Agenzia Nazionale Politiche Attive Lavoro), Domenico Parisi, ha rivelato che oltre un quarto dei beneficiari del reddito di cittadinanza tenuti alla sottoscrizione di un patto per il lavoro ha trovato un lavoro da quando è stata istituita la misura. Si tratta di 352.068 beneficiari, pari al 25,7% dei 1.369.779 tenuti a firmare il patto per il lavoro. La grande maggioranza dei contratti è stata a tempo determinato e al 31 ottobre 2020, in piena pandemia, i beneficiari del reddito di cittadinanza con un rapporto di lavoro ancora attivo erano 192.851. Il 15,4% dei beneficiari ha stipulato un contratto a tempo indeterminato, il 4,1% un contratto di apprendistato mentre il 65% ha avuto un contratto a termine. Il resto dei beneficiari ha avuto contratti di collaborazione o intermittenti.

Relativamente alle tipologie contrattuali, i dati sono perfettamente in linea con le attivazioni di posti di lavoro dell’intero mercato italiano. Nella Nota trimestrale sulle tendenze dell’occupazione del Ministero del Lavoro, ad esempio, si legge che nel terzo trimestre del 2020 la crescita congiunturale delle posizioni lavorative dipendenti ammontava a 280mila unità, di cui 183mila (pari al 65,3%) a tempo determinato e 97mila (pari al 34,6%) a tempo indeterminato.
In altre parole, non c’è differenza nella qualità del lavoro trovato da chi percepisce il reddito di cittadinanza e chi non lo percepisce, perché il problema nel nostro Paese rimane la pessima qualità del lavoro praticata dalle aziende. Un tema che non viene mai affrontato dalla politica.

Forme di reddito di base sono presenti in tutta Europa e furono introdotte contestualmente alla flessibilizzazione in uscita del mercato del lavoro, proprio per equilibrare la riforma e non esporre troppo lavoratori e lavoratrici a ricatti da parte dei datori del lavoro. L’Italia fu uno dei pochi Paesi a riformare la flessibilità in uscita del mercato del lavoro senza compensarla con paracadute sociali. Tutt’oggi la discussione fa fatica a fare breccia e lo dimostrano le opposizioni che proprio il reddito di cittadinanza continua ad attirare su di sè.
«Probabilmente c’è anche il timore che si possa scivolare nell’assistenzialismo – osserva Taruffi – Io penso però che le condizioni della realtà ci impognano di cambiare atteggiamento».

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