Viene evocato sempre più frequentemente, perché l’occasione che rappresenta suona ghiotta per molti, ma è anche al centro di una contesa europea che ha poco a che vedere con l’economia e molto con lo stato di diritto. In più non tutti, e il riferimento è all’Italia, sembrano approcciarlo con una strategia reale.
Stiamo parlando del Recovery Fund, che è protagonista delle notizie che arrivano da Bruxelles nelle ultime ore e che ci siamo fatti spiegare da Andrea Di Stefano, direttore di Valori.it

Recovery Fund, la contesa sui diritti civili come pre-requisito

“In Europa, più che sul Recovery Fund, è in atto un braccio di ferro politico sul tema dello stato di diritto – osserva Di Stefano ai nostri microfoni – Per ora gli ambasciatori di Polonia e Ungheria hanno posto il veto all’accordo che era stato raggiunto sul bilancio dell’Ue, il quale contiene anche il meccanismo per reperire i fondi del Next Generation Eu, che è il vero di uno dei tre pilastri dell’azione europea”.
Il veto, sottolinea il direttore di Valori.it, è stato posto sulla questione della condizionalità dello stato di diritto. Polonia, Ungheria e ora anche Slovenia non ritengono accettabile la formulazione che condiziona l’erogazione dei fondi al rispetto di questioni come i diritti civili e la libertà di stampa, oggetto di accesi scontri all’interno di quei Paesi.

In altre parole, il rispetto dei diritti civili, della libertà di stampa e dello stato di diritto, nell’accordo raggiunto in accordo col Parlamento Ue, sono considerati pre-requisiti per accedere ai fondi. “Adesso si tratta di capire se potrà essere trovata una mediazione – osserva Di Stefano – Io non credo che potrà essere raggiunta già nel consiglio straordinario di domani, perché ci vuole ovviamente del lavoro diplomatico per trovare un punto di equilibrio, che poi deve essere anche accettato dal Parlamento”.

L’Italia e la strategia che manca

Questa mattina il ministro italiano agli Affari europei Enzo Amendola ha affermato che le preoccupazioni relative all’Italia e all’elaborazione di un piano per l’utilizzo delle risorse europee sarebbero infondate.
Eppure, secondo il direttore di Valori.it, l’Italia è molto in ritardo, ma soprattutto l’impressione è che non ci sia chiarezza su quali linee d’azione fare entrare nel piano. “Ci sono una sommatoria di richieste delle varie lobby – evidenzia Di Stefano – richieste che spesso sono in contrasto tra loro e che soprattutto rischiano di essere in contrasto con la strategia europea e con l’obbligo di dedicare almeno il 37% degli investimenti al Green Deal”.

Quella del Recovery Fund è considerata quasi unanimemente un’occasione storica, ma i rischi di utilizzare male i fondi europei. Sono tre gli scenari negativi da cui Di Stefano mette in guardia. “Sarebbe sbagliato utilizzare le risorse per tappare dei buchi del passato o per mettere mano a delle riforme, per esempio quella fiscale, che sicuramente non possono essere ascrivibili a delle politiche di investimento o, in terza ipotesi, pensare di destinare queste risorse, come purtroppo accaduto anche in passato, a degli interessi industriali, a volte anche di aziende direttamente controllate dallo Stato, ma che non sono in grado di generare incremento di pil, incremento dell’occupazione e riduzione dell’impatto ambientale”.

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